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7 OCEAN |
Diapause |
Mals |
2014 |
BLR |
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Avevo perso un po’ di vista questo gruppo bielorusso dai tempi di “The mysterious race of strange entities”, album che, nel 2008, ne sanciva il ritorno dopo un lunghissimo periodo di ibernazione. A quanto pare però i 7 Ocean si sono dati un bel po’ da fare nel frattempo e hanno realizzato altri tre album, incluso questo di cui scrivo al momento, che hanno fruttato diversi articoli, recensioni e discussioni, segno questo che alla fine qualcuno si è accorto di loro. La formazione inoltre si è dilatata da trio a sestetto con l’arrivo di un bassista di ruolo, Vladimir Stoljarov, e di due chitarristi, uno in veste acustica, Alexander Chugaev, e uno in veste elettrica, Oleg Grinevich. Con mia grande sorpresa però a tutte queste novità non ha fatto seguito alcun significativo miglioramento della formula musicale che conoscevo e che, anzi, si è persino ammosciata. La voce di Alexander Eletsky, che è anche il compositore unico della situazione, è sempre lì al suo posto, sempre simile a quella di Andrey Makarevich dei Mashina Vremeni ma non dotata del suo stesso carisma, piatta, a tratti declamatoria e persino sgraziata. I suoni rimangono molto tastieristici, a volte spaziali, e molto più spesso improntati al New Prog di stampo inglese meno fantasioso che possiate immaginare. Anche questo strumento è a carico del cantante che, a quanto pare, non lascia molto margine di manovra agli altri componenti. Le chitarre si fanno sentire poco e forse una loro partecipazione più attiva nel disegno delle melodie e della struttura dei brani avrebbe conferito maggiore movimento e robustezza a tracce complessivamente spente. Bisogna però dire che proprio nei momenti più dilatati il gruppo dà il meglio di sé, alla ricerca della giusta atmosfera, che sembra arrivare nella romantica e Floydiana “Song of the Rain”, l’unico pezzo dell’album che riesce a farmi arrivare qualche emozione. Almeno “The mysterious race…” era divertente e poteva rappresentare, all’epoca in cui uscì, un ipotetico trigger per ulteriori e interessanti sviluppi che a quanto pare non sono sopraggiunti. Per il resto quest’opera non è priva di piacevolezza e scorre tutto sommato abbastanza bene, pur senza voli pindarici o passaggi memorabili, come una dose di placebo che, nella peggiore delle ipotesi, non sortisce alcun effetto. O forse il gruppo è entrato semplicemente in diapausa che in biologia indica il passaggio a uno stadio di inattività, a metabolismo notevolmente rallentato, che permetta all’organismo di superare condizioni ambientali avverse. Magari dopo la diapausa, forse in tempi più propizi per il Prog, alla fine ci sarà il risveglio… noi nel frattempo dedichiamoci ad altro perché la musica, nonostante tutto, in giro non manca.
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Jessica Attene
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