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MAJESTIC |
Epsilon 1 |
autoprod. |
2014 |
USA |
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Ridendo e scherzando il chitarrista e tastierista Jeff Hamel porta a quota sette la discografia dei suoi Majestic, progetto nato come espressione del suo unico talento con “Descension”, album risalente al 2007, e divenuto col tempo un vero e proprio gruppo che conta, in questa attuale incarnazione, sul drumming di Mike Kosacek e sulla voce di ben quattro cantanti solisti (David Cagle, Chris Hodges, Celine Derval e Marc Atkinson, quest’ultimo già alle prese con diversi altri gruppi fra cui Mandalaband e Nine Stones Close). E non è tutto, visto che questo primo volume è completato da un secondo CD pubblicato separatamente con un po’ di mesi di differenza. Concentriamoci comunque su questo primo capitolo che ci offre sei titoli dal minutaggio medio lungo e abbastanza variegati fra loro, anche se, un po’ dappertutto, sono presenti elementi space rock più o meno vistosi, momenti sinfonici che spesso virano decisamente verso il new prog e contaminazioni metal in dosi comunque non eccessive. Sono proprio gli undici minuti della traccia di apertura, “Chariots”, ad offrirci una particolare formula di new prog dai riflessi stranamente cosmici con buone dosi di melodia che non si perde neanche quando i suoni si irrobustiscono con chitarre energiche ma non troppo distorte, la batteria che tira sul doppio pedale e tastiere ben presenti, complice anche la performance vocale di Hodges in stile quasi AOR. Quando poi la sezione ritmica si ritira le tastiere sono libere di dominare ogni spazio, come accade in “Starlight”, una ballad romantica dominata dal cantato docile di Atkinson che ricorda un po’ i Porcupine Tree. Un po’ glamour e dai riflessi metallici si profila invece “Mother Dearest”, unico pezzo interpretato da una voce femminile, quella di Celine Derval. I riff di chitarra si sporcano e poggiano su power chords ripetitivi, le tastiere sgargianti si fanno strada in questa muraglia di suoni e si intravedono diversi punti di contatto con Ayreon e Leger De Main, per chi se li ricorda. Gli ultimi tre pezzi sono i primi tre capitoli di “Epsilon”, saga musicale che continua con altri nove episodi nel secondo CD, venduto separatamente, come abbiamo visto. Troviamo ora atmosfere spaziali quasi solenni su “Epsilon I: Event Horizon”, con chitarre bluesy che si sciolgono in morbidi assoli ed una sequenza centrale space rock più lanciata ma dai suoni più confusi. “Epsilon II: Doorways” parte con un new prog sinfonico molto melodico che si trasforma in una cavalcata dai ritmi insistenti e regolari con chitarre acide e suoni tastieristici spaziali, come se si trattasse di Ozric Tentacles molto più diluiti. David Cagle, unico solista al quale sono affidate due tracce, domina la traccia di chiusura, “Epsilon III: Samskaras“, come anche la già citata “Epsilon III”. Il brano è indugiante e molto arioso con riferimenti a Steven Wilson, specie per quel che riguarda i cori tastieristici persistenti e vellutati, ma con una caratura nettamente inferiore rispetto al maestro. L’idea di miscelare questi elementi in sostanza mi piace ma il risultato finale a volte è un po’ incerto e poco compatto, facendo perdere un po’ la visione di insieme dell’opera. Un po’ ovunque percepisco dei vaghi sentori di fine anni Ottanta che di per sé non sono un connotato negativo ma che fanno apparire questo album come un disco invecchiato male. Ci sono idee buone di base ma il buon Jeff avrebbe potuto sfruttarle decisamente meglio lavorando di più in fase di produzione. Immagino che il problema possa essere quello che affligge diversi gruppi e cioè quello finanziario, ma un’opera ambiziosa, che fa leva sugli scenari sonori, deve poter donare suggestioni più intense e durature che valgono ben più di una semplice pacca sulla spalla come gratificazione. Insomma questo disco vale una pacca sulla spalla, se non si fosse capito ma forse Jeff si aspettava di più, come anche io…
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Jessica Attene
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