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THE SOURS |
The sours |
Moonjune Records |
2014 |
USA |
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Essere autenticamente atipici vuol dire anche andare oltre la propria atipicità congenita e, per tal motivo, svoltare in maniera tanto improvvisa quanto inaspettata in territori ritenuti convenzionali. Operare, cioè, delle scelte che proprio non ci si aspetterebbe da chi ha fatto dell’inusuale il proprio marchio di fabbrica. Come l’etichetta newyorkese Moonjune, tanto per fare un esempio a caso. Dissonanze? Jazz-rock contorto? Contaminazioni etniche? Ristampe di musicisti più o meno conosciuti ma con poco appeal discografico? No. Solo liscio e tranquillo folk americano acustico, stavolta. Già, di quello per voce femminile e chitarra, magari tendente in modo deciso verso il cantautoriale, ma con delle amplificazioni sapienti che conferiscono comunque un che dal sapore vagamente psichedelico. E lo spiazzamento viene ancora una vota servito alla platea, quasi come un calcio di rigore che manda pallone in rete da un lato e portiere dall’altro. The Sours è il gruppo della statunitense Sarah Schrift, che canta delicata e decisa la propria vita, sulle note della chitarra di Sasha Markovic degli Yagull (prevista la pubblicazione di un loro album sempre su Moonjune per la fine del 2014), che produce anche l’intero lavoro e ne fa l’autentica fortuna. Markovic è un volpone che sa fare incredibilmente bene il proprio mestiere, creando uno “spessore sonoro” ed una definizione che altri album simili possono solo sognarsi, rimanendo relegati così in una infinita Terra di Nessuno. Non è il caso di questo lavoro omonimo, in cui l’art work disegnato dalla stessa Schrift diviene il punto di riferimento dell’ascoltatore, il quale entra in un’atmosfera di amplificati romanticismi che si perdono nell’eco dei boschi. Inutile citare nomi di una scena musicale incredibilmente nutrita, che fin da Joan Baez ha continuamente cambiato pelle rimanendo però sempre fedele a se stessa, riuscendo ad essere costantemente riconoscibile con ben precise connotazioni. Quando occorre, Markovic lavora di fino, come sulla blueseggiante “Seawitch” oppure su pezzi come “R for regreat”, anche se la tendenza è quella di non strafare mai e riempire gli spazi lasciati dalla bella voce di Sarah in brani tipo “Gnt” o “Angie”. La Schirft si mette alla chitarra su “Survivalist” e soprattutto su “Kubrick”, una delle cose migliori. Tra queste, da citare assolutamente “Wish”, accompagnata dallo stentoreo pianoforte di Kana Kamitsubo (già presente in maniera molto più nascosta su “Gnt”). Per il resto, come si diceva prima, molti spunti tipici di un certo cantautorato melodico statunitense, come accade nelle iniziali “Everwas” e “Second Stop” (viene un po’ in mente il tormentone “Wake me up when September ends” dei Green Day). Si segnala, poi, la chiusura di “Egret”, cantata a cappella. Una proposta da ascoltare al mattino, per cominciare con serenità la giornata. Evitate però di ascoltarla la sera da soli; quasi sicuramente, andreste a letto presi per mano dalla Solitudine. Con ogni probabilità, non sarebbe esattamente un felice dormire.
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Michele Merenda
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