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AMENOPHIS |
Time |
Musea Records |
2014 |
GER |
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Nei difficili anni ’80, in cui era quanto meno complicato emergere ed ottenere la giusta visibilità per quei gruppi che non offrivano proposte commerciali e che puntavano ad un recupero di certe sonorità e strutture in voga nel decennio precedente, ci sono stati artisti che sono riusciti a lasciare un segno nel cuore degli appassionati nonostante la poca visibilità ottenuta. Tra questi ci sono sicuramente i tedeschi Amenophis, che realizzarono un disco omonimo nel 1983, proponendo un progressive rock pregno di grande romanticismo, caratterizzato da trame elettroacustiche eleganti, rifinite da tastiere e chitarre che ripercorrevano un po’ i sentieri tracciati da Genesis, Camel e Eloy. Dopo un altro lavoro datato 1988, in cui cercavano una maggiore immediatezza finendo, però, con il non accontentare chi aveva apprezzato il loro prog, arrivò lo scioglimento ed il silenzio. Giunge quindi un po’ a sorpresa questo nuovo album nel 2014, anche se oramai, nel mondo del prog, sono davvero numerosissime le reunion di quelle formazioni che possono essere considerate “minori”, per lo meno in termini di successo. Ma veniamo a questo nuovo parto della band tedesca, denominato “Time” e che vede impegnati Wolfgang Vollmuth al basso, alle chitarre acustiche e alla voce solista, Michael Rossmann alle chitarre e alla voce, Kurt Poppe alle tastiere e Karsten Schubert alla batteria e alle percussioni. Si tratta di un bel cd che rispolvera piacevolmente le sonorità degli esordi, con una musicalità raffinata fatta di melodie ariose e discreti incroci strumentali. Aperto dalla splendida “The overdue overture”, incipit classicheggiante, con le tastiere in grande spolvero a creare dei temi epici ed affascinanti, “Time” ha uno sviluppo che riesce in parte a rievocare e ad attualizzare il sound che caratterizzava il debutto degli Amenophis. I brani a più ampio respiro, come “The sandglass symphony”, “You”, “The puppet master” e la conclusiva minisuite in tre parti “Avalon”, ne sono la più limpida dimostrazione, grazie ad un suggestivo progressive romantico e sinfonico le cui strutture permettono le più classiche variazioni di tempo e di atmosfera, nonché fughe strumentali e solos decisamente interessanti. Nelle tracce con un minutaggio più ordinario, invece, la band prova ad unire reminiscenze dei primi Marillion ad una maggiore orecchiabilità (“Some times”), o a mostrarsi più allegra e spensierata (“Mrs April McMay”) con risultati che magari non fanno gridare al miracolo, ma che possono essere considerati tutto sommato dignitosi. Non del tutto riuscita e troppo mielosa la ballad “Wheel of time”, mentre risultano molto buoni i due brevissimi bozzetti “Intermission” e “Coming home”. Concludendo, possiamo dire che anche se non vengono raggiunti i vertici qualitativi dell’esordio, “Time” offre sicuramente piacevoli momenti, rappresentando uno di quegli album magari non indispensabili, ma con buone trovate che possono dare piena soddisfazione a chi aveva già apprezzato gli Amenophis in passato.
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Peppe Di Spirito
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