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EL CIRCULO DE WILLIS Fábulas autoprod. 2012 SPA

Il Circolo di Willis, anatomicamente parlando, è quel sistema intrecciato di vasi arteriosi che irrora il cervello. Dal punto di vista musicale, a quanto pare, è un groviglio di stili diversi, mescolati con disinvoltura e creatività, che stimola pesantemente l’immaginazione senza ricorrere a sostanze stupefacenti. E di immaginazione il nostro gruppo madrileno ne ha davvero da vendere: ce lo testimonia concretamente persino la confezione dell’edizione speciale che racchiude questo loro secondo album (l’esordio, sempre autoprodotto, intitolato “Cuadrado”, risaliva al 2005). Si tratta di una cassetta in legno artigianale che si chiude a incastro e che racchiude, oltre al CD ovviamente, un corposissimo book di fumetti bizzarri che illustrano le sei storie evocate dagli altrettanti brani strumentali di “Fábulas”. All’interno del book c’è un invito concreto a sognare ed immaginare come facevamo da bambini, con l’aiuto di coloratissime immagini da far scorrere davanti agli occhi durante l’ascolto. Dei codici numerici stampigliati sotto a ogni disegno ci aiuteranno a sincronizzare le figure con la musica in modo preciso. La lettura della trama di ogni racconto, che si trova invece nel booklet contenuto nella jewel box del CD, potrà essere di ulteriore stimolo per la nostra fantasia.
Eccoci pronti quindi, book sotto gli occhi e musica nelle orecchie, ad iniziare questa strana avventura. L’ordine e il caos coesistono in un unico ambiente musicale. La musica è eccentrica ed un tantino isterica e la definirei in un certo senso “zappiana”, non tanto per il rigore tecnico e per la precisione, quanto per gli stravaganti accostamenti dei colori. Elementi sinfonici, space rock, elettronici, jazz e psichedelici si abbracciano e respingono incessantemente in brani che saltano continuamente di palo in frasca e che appaiono sempre vivaci e rallegrati da un costante spirito ludico di fondo. “Tú No Sabes lo Que Has Hecho”, tu non sai quello che hai fatto, subito ammonisce il titolo di apertura. A quanto pare ci siamo ficcati dritti dritti in una spirale sonora impazzita, dove la musica procede prima a singhiozzo e spintoni per poi dileguarsi sul più bello in tante nuvolette di fumo colorato dai sentori spacey e psichedelici che ci ricordano la folle magia dei Gong. Anche la successiva “El Banquete Canibal” è molto pittoresca sia nel titolo che nelle forme. Un basso alla Primus (suonato da Tomás Fernandez, che si occupa anche delle tastiere) ed una batteria asciutta e nervosa (quella di Iván Pozuelo) si mescolano ad un elegantissimo piano jazzy in una musica fatta di molteplici contrasti e strane complicità, non priva di derive circensi. Il sax tenore di Gonzalo Solas (che suona anche il flauto traverso) riesce a farci provare un pizzico di romanticismo mentre lo scenario diventa notturno e carezzevole, piacevolmente contornato da sonorità vintage e sinfoniche. Ma tutto ritorna presto a girare veloce in una pazza festa di suoni e colori. Quando la chitarra di Sergio Segovia (suo è anche il piano) prende corpo si gioca sulla potenza e sulle distorsioni e la musica, cangiante, diviene grezza e capricciosa. Il brano scivola impercettibilmente verso la successiva “La Historia De Los Trispis”, dalle atmosfere incerte e psichedeliche, con i suoi impasti incantevoli di Mellotron, o presunto tale, e di flauto. Il suo stile classicheggiante è complesso e dinamico, soffuso, intenso ed etereo, fino ovviamente all’ennesima bizzarria che si trova proprio lì, dietro l’angolo e che trasforma il tutto in una marcia colorata ed eccessiva che ricorda persino i Samla Mammas Manna. “La Batalla De Los Soldaditos De Plomo” parte con un ritmo sostenuto, buffo e serrato, con aperture sinfoniche e space che sopraggiungono a frammentare questa specie di marcetta trionfale. La mescola sonora è fatta di tonalità vintage e la musica si attorciglia in una specie di spirale ove convergono elementi psichedelici, sinfonici e jazzy. Impasti jazzy con un sax sbarazzino e visioni molto Gong ci danno il benvenuto in “Endodoncia”, brano che subisce, come tutti gli altri del resto, le sue belle trasformazioni che pendono ora su soluzioni divertenti, ora su territori affini agli Ozric Tentacles con bizzarrie varie e ripetizioni dai tratti lisergici. Iván Pozuelo picchietta sui piatti, entra il flauto e sotto sotto si insinua il piano con i suoi reticoli intriganti e jazzati. E’ appena iniziato il brano di chiusura, “El Turbante Sin Cabeza”, dalle linee melodiche vagamente orientaleggianti e le sue tematiche musicali stellari. Gli elementi pianistici sono qui notevoli e mi fanno balzare alla mente i connazionali Kotebel ed il flauto dona suggestioni da “Mille e una Notte”. Insomma di carne al fuoco ce ne è parecchia e secondo me tutto è reso più piccante ed interessante dall’istinto. Non sembra in effetti un album costruito a tavolino, fatto questo che lo rende un tantino rustico ma anche decisamente vivace e brillante. La promessa di un’avventura fantastica si può considerare mantenuta, estendo quindi a tutti voi l’invito a stimolare la vostra fantasia e ad ascoltare questo album divertente e ben suonato.


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Jessica Attene

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