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ZIG ZAG |
Pièces Manquantes 1976 |
Vapeur Mauve Productions |
2014 |
FRA |
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Qualcuno avrà sicuramente notato nella biografia di Jean-Luc Chevalier, attuale chitarrista dei Tri Yann e membro effettivo dei Magma dal 1977 al 1983, la militanza, agli inizi della sua carriera musicale, con il fantomatico gruppo Zig Zag. Tale band, nata a Nantes nel 1971, vantava nella sua discografia soltanto un 45 giri, “My Lady Sun”, pubblicato dalla Pathé nel 1972, ma si parlava anche di un LP registrato a Clisson nel 1976 e mai dato alle stampe. All’epoca proprio Jean-Luc, dopo l’abbandono, nel 1974, di Philippe Bourget, uno dei membri fondatori, aveva spinto la sua band verso territori marcatamente progressivi donandole delle chiare influenze Magmatiche. Faccio notare che gli stessi Zig Zag aprirono per i Magma in occasione del loro primo concerto a Nantes nel Maggio del 1974. A soddisfare ogni curiosità circa quell’album, rimasto inedito per fin troppo tempo, ecco questa bellissima stampa a tiratura limitata (ne esistono solo 500 esemplari) in vinile e con una copia CD inclusa. Colpisce prima di tutto la grande personalità di questa band che ha costruito la sua identità musicale pezzo dopo pezzo, non accontentandosi certamente di riciclare cose altrui ma fornendo una propria chiave di lettura dell’universo Zeuhl. Tutte le composizioni escono dalla testa di Jean-Luc e prendono corpo grazie ai fiati di Jean “Popof” Chevalier (sax soprano, clarinetto basso, cori e percussioni), di Nobby Clarke (sax tenore, soprano, flauto e cori) e di Nicolas Carver (sax baritono e clarinetto basso), al pianoforte di Philippe Grandvoinet, al basso di Claude Le Péron, alla batteria di Alain “Antoine” Chagnon ma soprattutto grazie alla voce inquietante, affascinante e spettrale di Michelle Sarna. Gli elementi musicali sono spesso rarefatti, oscillano flebilmente fra il jazz rock e la musica da camera, con frammenti pianistici preziosi e classicheggianti e una sezione ritmica delicata e malleabile. I fiati sono riservati e poco invadenti, la chitarra, spesso dalle colorazioni acustiche, è precisa nel disegnare melodie e arpeggi ma più di ogni altra cosa sono le parti corali, con la voce solista di Michelle in primis, a caratterizzare fortemente queste dieci composizioni. Il suo è un canto senza parole che dona forti suggestioni. E’ soave ma anche nei momenti più lirici ha sempre un che di angosciante e di sfuggente, come se si trattasse di una creatura dalle sembianze umane ma proveniente da un altro universo o da un’altra dimensione. I cori di voci maschili che spesso la accompagnano sono lugubri e gravi e contrastano con il suo timbro pulito e cristallino. E tutt’attorno la musica appare ora astratta e frammentata ora avvolgente e compatta, come le tenebre più buie. In “Dromadaire” gli sprazzi musicali sembrano quasi nascere come un riverbero o una emanazione delle voci. Il piano è veloce e le ritmiche serrate, le corde della chitarra rimbalzano in tanti rivoli sonori ed ecco l’esplodere di una strana danza macabra con percussioni tribali, cori maledetti ed ambientazioni lugubri. In “Variations” i fiati e la chitarra acustica sembrano studiarsi incessantemente, incrociando i loro sguardi diffidenti incalzati dal piano cameristico e da cori strazianti ma a loro modo attraenti. Tutto si rimpasta in un magma jazz che ribolle, mobile ed articolato, in rapide convulsioni sonore capricciose e stuzzicanti. Vale la pena ancora ricordare, in questa disamina disordinata che procede a zigzag, “Heitor” con la voce di Michelle che diventa alata e le ritmiche jazzy e flessuose che entrano pian piano seguendo il treno d’onde di un basso piacevolmente ipertrofico. Si innestano fitte trame pianistiche che serpeggiano adagio donando suggestioni classicheggianti ed è quindi un deflagrare di cori e fiati stranianti conditi da qualche elemento etnico. In “Complainte” il piano offre un pizzico di romanticismo che viene però subito soffocato da canti oscuri e baritonali dai quali si erge con grazia la voce di Michelle in una specie di requiem straziante. Il canto di Michelle nella conclusiva “Tibet” è celestiale e sinistra al tempo stesso, contrappuntato da un piano glaciale. La breve “Hommage À J.H. I”, seguita a ruota da una parte “II”, è musicalmente più fluida e quasi Canterburyana, scorre via veloce, come anche molto rapida, nelle sue divagazioni nervose, si presenta “Hipnose”. Non tutti i brani offrono un senso del compiuto, alcuni sono delle istantanee fresche e vivaci, altri appaiono molto più strutturati. In ogni caso si tratta di un documento interessante, una magia nera spuntata dal nulla e destinata a scomparire nel giro di qualche mese. Il 27 Marzo 1977 Antoine Chagnon muore infatti in un tragico incidente e questa è anche la fine dei Zig Zag… peccato.. chissà dove mai si sarebbero spinte le loro visioni Zeuhl a tinte fosche? Tutto quello che mi posso augurare è che questa stampa possa godere di un’altra tiratura e, se così non fosse, spero almeno per te che stai leggendo che sarai uno degli altri 499 possessori di quest’opera. Quindi sbrigati.
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Jessica Attene
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