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THE NERVE INSTITUTE Fictions AltrOck 2015 USA

Nel 2011 veniva pubblicato nel mercato discografico “Architect of flesh-density”,cioè l’esordio della sigla The Nerve Institute, oscura e bieca come la copertina dell’album, dietro la quale si celava il tanto giovane quanto bravo polistrumentista statunitense Michael Judge. Una gavetta spesa a suonare batteria, basso o chitarra in varie realtà musicali (power-pop, punk, libera improvvisazione…) che lo stesso Judge pensa siano state conosciute soltanto da una dozzina di persone in tutto il pianeta. Ma nel frattempo il diretto interessato maturava ed affinava le proprie abilità, andando via via creando one-man projects sotto il nome di Wolf Tickets, Jerusalem, Sinthome e, per l’appunto, The Nerve Institute. In quel 2011 usciva quindi una delle proposte più interessanti dell’anno – l’ottavo lavoro personale di Judge, volendo comprendere tutte le denominazioni fino ad allora create –, i cui sperimentalismi presentavano contorte strutture portanti di natura sicuramente Zappiana, oltre ad un freddo atteggiamento distaccato che agitava torbide acque di natura jazz-rock. A cui aggiungere poi delle reminiscenze che guardavano all’ala più eccentrica della visionaria Canterbury, quella stessa che ad esempio varcò il mare gelido per confluire nel notevole “Sissel” (1973) del mai troppo compianto fiatista svedese Björn J:son Lindh, facendo sì che su entrambi gli album, a distanza di tanti anni, si respirasse un’analoga e cupa creatività.
Ma perché in questo spazio ci si sta soffermando tanto a parlare del predecessore di “Fictions”? Semplicemente perché quest’ultimo non è affatto il nuovo lavoro pubblicato a nome The Nerve Institue, bensì la riproposizione di “Ficciones” uscito nel 2010 a nome Sinthome! Rimasterizzato completamente da Udi Koomran, l’album vede sempre Judge all’opera su tutti gli strumenti, prevedendo però l’intervento di Jacob Holm-Lupo dei White Willow su un paio di pezzi. Il risultato in effetti potrebbe far avvertire l’influsso della band appena citata, con un sound apparentemente più “solare” rispetto al materiale di “Architect…” ed una sensazione tipicamente post-rock o magari tendente a certe cose in stile vecchi U2, soprattutto in alcune soluzioni ritmiche (alla luce dei fatti, non si sa quale dei due risultati finali possa risultare maggiormente inquietante…). Di sicuro, l’assolo di Holm-Lupo alle tastiere su “City of Narrows” (di cui è anche co-autore) risulta ottimo, soprattutto dopo il cantato (sempre) volutamente impersonale di Judge, a cui seguono i solismi chitarristici dello stesso Michael, il quale si conferma ancora una volta eccellente con le sei corde.
Da citare la varietà della strumentale “Knives of Winter/Coronation Day”, tra effetti strani, momenti più pacati tanto crimsoniani quanto quelli maggiormente stridenti, fasi percussive che subentrano inaspettatamente a fraseggi chitarristici nello stile del Frank Zappa più fluido, con un andamento marziale che di colpo diventa protagonista della scena ed una chiusura da teatrino irreale…Si potrebbe pensare che “Knives Summer” sia collegata al titolo poco sopra analizzato, ma invece i punti di contatto sono ben pochi Circa dieci minuti alternati da fasi cantate che nella seconda parte sfociano anche nella tradizione indiana, con tanto di accompagnamento consono per l’occasione, e parti strumentali in cui la chitarra diventa multiforme, anche qui spaziando dalle note pizzicate dei King Crimson su album tipo “Thrak” (1995) fino ad altri assoli ispirati sempre al Frank Zappa influenzato dal jazz-rock (o era lui influenza dell’intero stile…?) e all’Allan Holdsworth più accessibile.
Si potrebbe anche parlare delle differenti tipologie di influenze sudamericane in “Rayuela” e “Abrazo y caminando” (quest’ultima anche con il mandolino ed il banjo), della vicinanza di atmosfere di “With Joy We Espy the Sarcophagus” al materiale complesso di “Architect…”, grazie alla perfetta sinergia asimmetrica di differenti strumenti (tra le cose migliori, difatti); ma anche fare cenno a “Grimoire”, dove torna Holm-Lupo con un assolo di chitarra, oppure all’iniziale “The Confidence-Man”, con la sua chitarra acustica che si intreccia con le ritmiche ed un banjo fuso con tutto il resto. Citando pure “Whistling Wire” come emblema di una pubblicazione basata in buona parte su pezzi relativamente brevi ma sempre in qualche modo complessi, si chiude con “Docile Bodies/In the Leprosarium”, secondo pezzo che fa eccezione per la sua lunghezza (oltre undici minuti), in cui ci si può sbizzarrire anche con le ritmiche, oltre che con i consueti assoli non certo convenzionali.
Mettendo in copertina “La cura della follia”, quadro di Hieronymus Bosch, e avendo ormai conosciuto la propensione compositiva di Judge, non si può non sapere che il contenuto di quanto si starà per ascoltare sarà quantomeno… eccentrico. Un buon lavoro, che supera abbondantemente la sufficienza, e che però – lo si sarà capito – non eguaglia il suo predecessore/successore.
Prossimamente, però, uscirà un lavoro totalmente inedito. Occhio, quindi.



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Michele Merenda

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THE NERVE INSTITUTE Architects of flesh-density 2011 

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