|
MERRY GO ROUND |
Merry go round |
Black Widow |
2015 |
ITA |
|
Sebbene ufficialmente attivi solo dal 2012, in realtà la storia dei toscani Merry Go Round affonda le sue radici alla metà degli anni ’80 quando si chiamavano Storks. Dopo un demo e numerosi concerti, la band si sciolse ed un paio di membri, Michele Profeti e Stefano Gabbani (rispettivamente tastiere e basso) confluirono negli Standarte. Nel 2012 gli ex-Storks, con l’aggiunta di un altro chitarrista (Sandro Vitolo) e di una nuova singer (Martina Vivaldi), rimettono in moto la loro creatura (ora Merry Go Round) che oggi pubblica il primo album omonimo, sotto l’egida della genovese Black Widow. I duetti organo Hammond/chitarra elettrica sono il marchio di fabbrica del gruppo sin dall’iniziale “Dora’s dream” e non è difficile scorgere l’influenza degli Uriah Heep, degli Atomic Rooster, della psichedelica dei primi anni ’70. Esplosiva la voce di Martina Vivaldi, perfettamente inserita nelle musiche create dai compagni e vero e proprio valore aggiunto della band. Ben avviluppati alla voce, ora roca, ora acuta della cantante, chitarra e organo creano magistrali incursioni hard-psichedeliche di cui buoni esempi sono “After” e “Poison ivy”. Senza neanche troppo sforzo d’immaginazione è facile vedere apparire pantaloni a zampa d’elefante, colori sgargianti e stampe floreali… il resto lo fa il sound dei Merry Go Round… “Changeling” profuma ancora di Heep con una insistita frase di Hammond in aggiunta alla chitarra acida, alla notevole ritmica e alla (solita) splendida performance vocale. Ulteriore conferma delle influenze della band, la presenza di 3 cover. Se “Friday the 13th” degli Atomic Rooster e “Indian rope man” dei Trinity sono più o meno conosciute, non così “Free ride” degli americani Wildwood (e qui non possiamo che ringraziare internet) che, debitamente rivisitata, è anche quella dall’interpretazione più convincente. Un suono caldo, fatto con il cuore ed il sudore, segnatamente vintage e di grande feeling. In coda alla cover dei Rooster, una ghost track interamente strumentale molto trascinante ed incisiva con le tastiere di Profeti ad esaltarne le migliori peculiarità. Interessanti anche il sofferto incedere di “To die of fear” e la blueseggiante “Mesmerized world”. Un’altra band di valore si (ri)affaccia nel panorama nostrano. Un lavoro sanguigno ed ottimamente eseguito. Per rocker… e non solo…
|
Valentino Butti
Collegamenti
ad altre recensioni |
|