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BREZNEV FUN CLUB Il misantropo felice AltrOck 2015 ITA

La prima distinzione da fare, visto che qualcuno già si è pronunciato al contrario, è quella tra musica di peso e musica pesante. Due cose ben diverse che forse non è qui necessario specificare. Chiariamo solo che questo è chiaramente un lavoro di peso, importante, certo, a tratti difficile a tratti più arioso, ma mai pesante. Detto questo, passiamo per quel po’ di storia che il caso richiede. L’ensemble capitanato da Rocco Lomonaco a distanza di cinque anni dall’ottimo lavoro di esordio, torna sul mercato con questo disco che in gran parte conferma gli indirizzi passati. La proposta ruota attorno ad una bella miscela di RIO, Canterbury, cameristica, jazz, Zappa e improvvisazione, in breve potremmo farlo rientrare in quel grande mare del cosiddetto avant-prog. Una miscela di per sé esplosiva, ma che viene tenuta sotto controllo grazie ad un imponente stuolo di musicisti, quasi a formare un’orchestra che si esprime in ambito più rock che classico.
Particolarità del lavoro è quella di essere stato composto a cavallo tra il vecchio e il nuovo millennio, con il tema principale addirittura risalente al 1997. Tutti questi frammenti, come piccoli rigagnoli, sono scesi, unendosi piano, piano e tanto hanno impiegato a trasformarsi in un fiume, un concept che racconta un momento del sonno. Sonno popolato in maniera variegata, fatto di incontri strambi, dialoghi irreali, istanti positivi ed altri negativi, cupi e agitati, aggrovigliati e, raramente, di ampio respiro, tanto da attendere il risveglio come catarsi, liberazione finale e riconoscimento del mondo.
Interamente strumentale, il lavoro, spinge su linee musicali complesse, su partiture e tessiture sonore di non facile ed immediata lettura, ma che sanno comunque ammaliare e avviluppare in una serie di atmosfere ricercate, anche nostalgiche, riflessive e persino romantiche.
Il sonno è qui descritto in otto movimenti, fluidi e concatenati, in un turbinante continuo cambiamento dove le forme non sono lì per spiegare qualcosa, non pensano, non pongono “il problema” e forse neppure porgono una soluzione, più semplicemente trasformano, variano la realtà e la sua percezione, l’incubo diviene fantasia piacevole, diventa mancanza, assenza di memoria e lapsus. Il lapsus è la dissonanza, i gusto nel ricercarla, trovare quella meno dolorosa e in questo i clarinetti sono maestri, sanno giocare con gli altri legni e con le corde dei violini, ridendo, piangendo, straziandosi e liberandosi, infine.
Il sonno, quindi, è il gioco degli strumenti e quel punto altissimo, vertice di unione delle linee provenienti da “Uncle Meat” da una parte e da Henry Cow e Picchio dal Pozzo dall’altra, tenendo ben ferma la linea di base ancorata a quella capacità di prendere fenomeni complessi e spiegarli in modo chiaro, tentando, almeno.
Non val la pena citare un movimento piuttosto che un altro: il disco va preso così com’è, per intero e ascoltato fino a sviscerarne il senso più profondo e completo, così usciranno quei frammenti compositivi dell’ideale musicale di Lomonaco, quei pochi secondi di liricità infinita, di apertura totale, di romantica passione musicale, spiragli luminosi di quelle notti di incubi e di sonno malato che nella vita capitano.
Disco forse non per tutti, ma chi, tra quelli che pensano di starne alla larga, vorrà tentare l’avventura di ricerca sonora, sarà ampiamente soddisfatto. Per gli amanti del genere, imperdibile.



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Roberto Vanali

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