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3RDEGREE |
Ones & Zeros: Volume 1 |
10T Records |
2015 |
USA |
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A poche settimane di distanza l’uno dall’altro sono usciti 4 album di gruppi americani che, nel bene o nel male, sono destinati a far parlare di sé anche se solo nel piccolo, ma variegato, mondo prog. Parliamo dei nuovi lavori di Echolyn, Advent, Spock’s Beard e, appunto, di “Ones & Zeros: Volume 1” dei 3rDegree che segue di 3 anni l’ottimo “The long division”. Come il precedente anche la nuova release è una sorta di concept ambientato in un prossimo futuro e sugli effetti che la tecnologia avrà nelle nostre vite. Per spiegare tutto ciò ecco 10 nuove composizioni per circa 50 minuti complessivi. La band del New Jersey (che per far fronte agli impegni live, con qualche data anche in Europa -ma non in Italia-, ha ingaggiato un nuovo chitarrista, Bryan Zeigler) è al 5° album in poco più di vent’anni di carriera (ma tre sono stati pubblicati negli ultimi 7 anni…) e appare ormai nel pieno della propria maturazione artistica. I pezzi scorrono fluidi, senza lungaggini, frizzanti, splendidamente arrangiati e suonati altrettanto bene. Le soluzioni vocali gradevoli, ma mai sdolcinate, i cori sempre perfettamente bilanciati con le sezioni strumentali, il sound comunque che cerca sempre delle soluzioni originali e mai ovvie. Tutto questo senza ricorrere a suite o ad “effetti speciali” particolari. Pur essendo un concept, quasi tutti i brani “vivono” bene anche presi singolarmente e non si avvertono fasi interlocutorie o “riempitivi” trait d’union. L’eccellente “The gravity” rispecchia in pieno quanto detto: la voce di George Dobbs che, ben supportata dai cori del resto della band, crea splendide linee melodiche ora su basi rock, ora su soffici tappeti acustici. Il tutto corroborato da incisivi “solos” delle chitarre elettriche (Patrick Kliesch -che non appare, di solito, nei “live” perché abita… troppo lontano!!-, ed il nuovo Bryan Zeigler) e dagli interventi delle tastiere di Dobbs. Il facile refrain di “This is the future” non deve ingannare: anche qui grande interpretazione della band che “sposa” coretti alla Beatles con intrecci strumentali à la Gentle Giant, senza dimenticare quei maestri di melodia che furono i 10CC. “Life” è un soffio leggero che ci permette di prendere fiato prima di addentrarci nell’intrigante ed intricata “The best & brightest” con il basso di Robert James Pashman e la batteria di Aaron Nobel in bella evidenza. Molto soffice, quasi “estiva”, “Circuit court” venata di sfumature pop e new prog. Carina ma nulla di più. Molto meglio “Life at any cost” che alle belle linee melodiche aggiunge un doppio spettacolare “solos” dapprima delle tastiere di Dobbs e poi dell’elettrica. “What it means to be human” è la più hard dell’album con significativi riff di chitarra, mentre “We regret to inform you” è un po’ disturbata da qualche effetto elettronico di troppo e da melodie, per una volta, non troppo incisive. Decisamente ben riuscita “More life” che chiude l’album spaziando dal sinfonico, all’acustico con qualche sfumature jazz-rock e ritrovando una buona verve melodica. “Ones & zeros………” conferma quanto di buono la band aveva fatto con “The long division” e ci offre un altro prodotto “made in U.S.A” non banale e perciò meritevole di grande attenzione.
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Valentino Butti
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