|
EL TUBO ELASTICO |
El tubo elastico |
autoprod. |
2015 |
SPA |
|
Debutto per il quartetto di Jerez de la Frontera (Cadice), che propone una sorta di post-rock strumentale in cui però vige sempre la complessità della sezione ritmica tipica del jazz-rock, nonostante l’andamento non sia quasi mai troppo sostenuto. Molto buona la prova di Carlos Cabrera (batteria) e soprattutto di Alfonso Romero (basso e sintetizzatori), capaci di dettare i tempi dell’intero lavoro, all’interno dei quali si muovono i chitarristi Daniel Gonzalez e Vizen Rivas. In verità non sono molte le fasi soliste intese nel vero senso del termine; quelle presenti lasciano comunque intravedere delle discrete capacità che andrebbero maggiormente sviluppate. Viene quindi affidato quasi tutto all’incedere complessivo dell’album, con le varie sfumature d’atmosfera tendente ad una specie di “grigio rilassante”. Si sono fatti vari nomi per i paragoni (tutti oscillanti tra l’alternative e proprio il post-rock), ma non sarebbe scorretto citare come fonte di ispirazione i Gordian Knot, uno dei tanti progetti sorti poco più di una quindicina di anni fa ed in cui orbitavano in un modo o nell’altro componenti dei Dream Theater (in quel caso, c’era il bassista John Myung). Il gruppo in questione vedeva coinvolto soprattutto Sean Malone dei Cynic, il quale, in compagnia di colleghi d’alto livello come Jacob Jarzombek (Watchtower e Spastic Ink) o Jim Matheos (Fates Warning), dava vita ad uno stile in buona parte compassato ma con soluzioni affidate sia alle melodie diatoniche che a dissonanze fuori scala, proprio per ricreare effetti jazz-fusion. Ecco, per molti versi il gruppo iberico fa la stessa cosa. Occorre ascoltare più volte i brani per andare oltre ad un ermetismo formale che sembra far prendere il sopravvento al post-rock dopo le due iniziali “Pandora” e “Camaleón”, le quali si erano presentate in maniera molto piacevole: una con la sua impostazione costante, l’altra con i mutamenti suggeriti già dal titolo. “Ispra I” e “Ispra II” sembrano non avere particolari picchi, anche se a sorpresa fanno capolino (verso il finale) proprio le chitarre soliste. “Rojo” è invece più energica; sette minuti in cui vengono applicati effetti elettronici in stile Ozric Tentacles, ricordando pure altre band psichedeliche britanniche. La psichedelia è difatti ancora più presente durante la seconda parte della seguente “El enjambre”, lungo brano ben strutturato, che dopo un bell’inizio melodico ed un inserimento di chitarra va a richiamare di nuovo gli Ozric (nonostante non vi siano certo le sfuriate chitarristiche di Eddy Wyne o gli ottimi inserimenti di flauto ad opera di John Edge “Champignon”), concludendo poi in maniera chiaramente… post. Il gruppo inglese viene ripreso ancora una volta nell’inizio di “Vampiros y gominos” che, pur non sfoggiando chissà quale approccio fantasioso, si distingue per la sua rinnovata energia. In ultima analisi, questo esordio non è affatto male. Occorre però lavorare maggiormente sulle sei corde e quindi trovare maggiore fantasia. Dal prossimo album, si potrebbe già correre il rischio di far sbadigliare qualcuno.
|
Michele Merenda
Collegamenti
ad altre recensioni |
|