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ELMO KARJALAINEN The free guitar album KC Sound 2015 FIN

Cosa si fa se il proprio esordio discografico viene ben recensito dagli addetti ai lavori, ma dal punto di vista delle vendite risulta un disastro? Ovvio: se ne fa un altro che venga rigirato gratuitamente al pubblico, ringraziando comunque in anticipo coloro i quali vorranno comprare la presunta edizione limitata!
Già a suo tempo si era detto che questo chitarrista finlandese possedeva parecchio umorismo; oggi ne dimostra talmente tanto da mettersi a scherzare sugli incassi inesistenti di un lavoro in cui aveva comunque impiegato tempo, fatica e, diciamolo, pure un bel po’ di speranze. Beh, questo ritorno solista dell’axe man dei Deathlike Silence ha un’immagine di copertina tanto spartana quanto simpatica, recando anche un adesivo di pericolo in cui si dice che l’ascolto di questa incisione potrebbe portare chi ne usufruisce a diventare un fan…
Sempre molto metal, il musicista finnico Elmo Karjalainen. Forse, per molti versi, ancora di più che nel precedente lavoro, distanziandosi così da qualsiasi discorso prog. L’iniziale “Instrumetal” è uno speed metal martellante, con un ritmica messa lì apposta per disturbare, come se qualcuno stesse stonacando una casa! I velocissimi assoli neoclassici, dal canto loro, sembrano essere un chiaro riferimento al giovanissimo Paul Gilbert dei Racer X che per i tempi faceva tanto strabiliare. Un inizio volutamente spiazzante e provocatorio, a cui fa seguito “Don’t Quit Yer Day Job”, col suo andamento che somiglia tanto ai pezzi inediti di Joe Satriani presenti sulla prima parte del doppio “Time machine” (1993); ritmica compassata, quasi placida, con cui poter dar vita a degli assoli complessi, dal sapore esotico e visionario. Dopo un brevissimo discorso in inglese che ricorda i monologhi di Frank Zappa, parte “Incontinental Breakfast”, il cui inizio si rifà a “Mistaken identity” di Vernon Reid (anche qui andamenti compassati), subito seguito da delle fughe tipiche del duo Friedman/Becker nei Cacophony, per poi far ritorno alla flemma e quindi a fasi più bluesy… con conclusione nuovamente metallico-sinfonica. I cinque minuti e mezzo di “She Sleeps on the Moon” sono tra le cose migliori, con i suoi respiri durante la melodica esecuzione che, oltre a Satriani, fa rammentare le partiture più ispirate ed intime di Andy Timmons, anche se la conclusione somiglia talmente tanto a “Liberty” di Steve Vai che da un momento all’altro ci si aspetta di sentire la famosa frase: “We may be human but we are still animals”. Tra l’altro, questo è l’unico pezzo in cui compare Christer Karjalainen (forse il fratello?) alla batteria; tutto il resto, lungo l’intero album, viene suonato esclusivamente da Elmo.
“Algorhythm” è un duro melange di tante cose – messo insieme abbastanza bene –, in cui si registra un repentino inserimento contemplativo, adottando un suono completamente diverso, capace di spiazzare in maniera improvvisa. “The Gentle Art of Listening” è solenne neoclassicismo suonato su un mid-tempo, mentre “The Bolero Unravels (I Come Undone)” parte da una base che si rifà lontanamente al ben più famoso “Bolero” di Ravel (chiaro il gioco di parole del titolo) e cresce di intensità con bei giochi di leva e chiari riferimenti alle scale di Yngwie J. Malmsteen, soprattutto nel finale. “Relax”, dal canto suo, chiude in maniera assolutamente rilassata, cioè in modo diametralmente opposto rispetto all’inizio. In aggiunta, vi sono le versioni (più o meno) alternative di “Don’t Quit Yer Day Job”, “Algorhythm” e “She Sleeps on the Moon” .
Ad un primo ascolto, quest’ultima uscita potrebbe sembrare una pubblicazione più striminzita e meno ricca rispetto all’esordio; ascoltandola meglio, invece, si apprezza quel processo di sintesi che veniva richiesto fin dal primo album, frutto di tanti anni di composizione, in cui era stata messa davvero tanta carne al fuoco. C’è ben poco da dire: se piacciono i guitar-heroes, quelli più immediati, Elmo Karjalainen è da seguire, in quanto si rifà a degli stilemi godibili senza però deprezzarsi ad uno sterile copia-incolla. Se non piacciono… beh… fino alla fine di questa recensione non ci si è di certo arrivati.



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Michele Merenda

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