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PROFUSION Phersu Progressive Promotion Records 2015 ITA

Tornano dopo tre anni i senesi Profusion, confermando una ritrovata stabilità di line-up che consente loro di consolidare lo stile intrapreso con il precedente “Rewotower”. Un misto di prog-rock e prog-metal, che si intreccia con le melodie più orecchiabili del class-metal e anche dell’AOR tipicamente americano. Il nome nato tra l’unione di “Prog” e “Fusion” non sembra dar molto spazio a quest’ultima, a meno che non si parli di “fusione” tra stili differenti. Non è un caso che il terzo album del quintetto toscano venga pubblicato per la PPR, etichetta che mette spesso sotto contratto band con un sound molto elaborato, complesso, sfruttato come mezzo per raccontare articolati concept. Realtà che quasi sempre puntano alla melodia e a una produzione dei suoni limpida (anche se tutto ciò non sempre è sinonimo di “concretezza”, occorre puntualizzarlo), che oggi trovano come perfetto compagno di scuderia proprio questo lavoro tricolore.
Phersu è una figura ritrovata nelle pareti delle tombe di Tarquinia, in particolare nella Tomba degli Auguri risalente alla seconda metà del VI secolo a.C. Dalla scritta si è evinto che con quel termine si volesse indicare la parola “maschera” (qualche dissacratore ha sostenuto che in realtà fosse il nome del personaggio stesso…), da cui è derivato il nostro termine “persona”, che è a sua volta passato attraverso il significato latino di “maschera teatrale”. In tutto questo mosaico, i Profusion ci vanno chiaramente a nozze! I brani sono infatti tutti connotati da differenti tipi di maschere, dalle futuriste e tecnologiche a quelle di alcuni noti… politici italiani, i cui testi indicano proprio queste molteplici personalità con cui si usa spesso mascherare l’individuo. Un concetto che diviene addirittura pirandelliano, seppur traslato in una sorta di schizofrenia contemporanea ammantata da una pseudo-normalità, che purtroppo sembra essere il fondamento di questa società distorta. Per far ciò, ecco la necessità della “fusione”; un susseguirsi continuo di riferimenti che spesso spariscono di mente non appena li si era individuati. È il caso dell’iniziale “Snooze”, il cui suono micidiale di un congegno elettronico si intreccia con quello del riff anch’esso tecnologico di chitarra, prima di dar spazio ad un funky-rock mimetizzato sotto le spoglie sparluccicanti di quel prog-metal elegante tipico sia di alcune band italiane che germaniche, con tanto di synth che ricordano Kevin Moore e quindi la lezione dei Dream Theater (soprattutto del periodo “Awake”). Si rimane sulla stessa lunghezza d’onda… e di maschera anche per quanto riguarda la seguente “Free Fall”, che oltre alla solita tecnologia richiama nelle strofe dei riferimenti usati da vari gruppi (anche di musica leggera italiana), per poi sfociare in un ritornello che deve sicuramente qualcosa ai Supertramp.
Da citare “Wrinkled Maiden”, cantata dalla mezzo-soprano Anita Rachevelishvili (definita dalla casa discografica come la più famosa interprete della “Carmen” dei nostri giorni), e la seguente “Nomen”. Quest’ultima è molto varia, con un’introduzione theateriana vecchio stile a cui fanno seguito le voci etniche ad opera di Mamuka Ghaghanidze e Zurab J. Gagnidze della ethno-fusion band The Shin, proseguendo con la fisarmonica suonata da Jakub Mietta. Si continua con “Infinite”, molto in linea con l’AOR senza però inutili sdolcinature, e “Masquerade”, che con dei fiati suonati da Marco Bacci, Tobia Bondesan e Massimo Testi ricrea il sound trionfalmente mondano che accompagna proprio la maschera di quel famoso uomo politico di cui sopra…
Energica melodia ancora in “Veteran” ed un cantato teatrale, con molte sfumature ad effetto, su “Vanity Fair”. Si chiude con la lenta “Forbidden”, in cui Luca Latini mette ancora una volta in mostra le proprie capacità vocali, impreziosendo così le partiture tecniche dei propri compagni.
Non è uno dei tanti capolavori irrinunciabili che la stampa specializzata tenderà di smerciare, per poi dimenticarsene dopo un paio di mesi; né, peraltro, il prodotto è classicamente prog (o forse lo è proprio perché sfugge alle immediate catalogazioni). Si tratta però di un’uscita energica e accattivante, che potrebbe tranquillamente essere trasmessa nelle stazioni radio, senza per questo essere svalutata o far calare gli ascolti perché troppo complessa. È una bella via di mezzo. Una volta tanto, un felice compromesso… senza compromessi!
Comprando questo album si supporterà l’AIMA, associazione no-profit per la cura dell’Alzheimer.



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Michele Merenda

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