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RENDEZVOUS POINT Solar storm Karisma Records 2015 NOR

Presentati come una delle band più promettenti della Norvegia, i Rendezvous Point sono formati da cinque musicisti per lo più già impegnati in altre realtà musicali come Borknagar e Leprous. Fautori di un prog-metal che ricorda tanto quella fase cupamente malinconica dell’autunno nordico che sta per volgere al gelo invernale, i componenti si sono a suo tempo incontrati a Kristinsand, durante gli studi di ritmica musicale all’università di Adger. Nel 2012 la consacrazione come maggiore promessa nel panorama del meridione norvegese, a cui è seguito il concerto con la Kristiansand Symphonic Orchestra. E quindi il debutto nel finire del 2015 (proprio durante quella famosa stagione autunnale…), con un massiccio programma di venticinque concerti in Europa.
I generi musicali risultano spesso e volentieri influenzati dall’andazzo dei tempi ed il prog-metal non fa eccezione. Sono sempre di più gli album che al posto dell’approccio pirotecnico tipicamente Theateriano mostrano una tendenza che definire introspettiva è forse troppo poco, con un incedere molto cerebrale ed anche ermetico, concedendo sempre meno spazio agli assoli e basandosi maggiormente sull’intricato processo ritmico. Il quintetto scandinavo rientra in questa categoria tipicamente contemporanea, il cui punto di riferimento potrebbero essere i Fates Warning o magari certe fasi dei connazionali Conception. Ma anche gli Opeth, perché quanto proposto è tutt’altro che “morbido”. Sicuramente la potente voce di Baard Kolstad fa la differenza e l’iniziale “Though The Solar Storm” si lascia ascoltare con curiosa attenzione. Il fatto è che buona parte del seguito, comunque ben suonato e prodotto, appare troppo uniforme. Magari l’intento era proprio questo, ma così, a meno che l’ascoltatore non sia un fan sfegatato, difficilmente si arriverà fino alla fine con un unico ascolto. A mancare sono proprio gli assoli e la prova viene fornita da “The Hunger”, forse la più dura del lotto, che però guarda caso presenta proprio un intenso e lungo assolo di chitarra, facendo capire che Petter Hallaråker non è solo quel bravo chitarrista ritmico e “spara riff” ascoltato nel resto dell’album. Ma anche “Mirrors”, con le sue atmosfere che si vanno alternando, dimostra che, volendolo, si potrebbe variare con successo la proposta (vedi anche “The Conclusion pt. 2”). Le coordinate, insomma, sono queste. Non c’è poi molto da aggiungere. A voi quindi la scelta.



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Michele Merenda

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