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OUTRE MESURE La ligne perdue Circum Disc 2015 FRA

Seconda uscita in carriera per i francesi Outre Mesure. Dal 2009, anno del loro esordio con l’album “Abacadaë”, la band si ripresenta con la stessa formazione a cinque elementi e con il solo cambio di etichetta.
Se il jazz rock dai tratti piuttosto sperimentali del primo album, vedeva alcuni aspetti migliorabili, specie nell’assemblaggio delle varie parti, la fluidità raggiunta con questo disco è prova di maturità raggiunta e consolidata. Le composizioni, sempre del chitarrista Jean-Louis Morais, ci presentano una fusion di forte matrice jazz e dalle connotazioni molto libere e fuori da schemi semplicistici e di sereno ascolto. I brani si sviluppano su canovacci spesso piuttosto complessi e da parti piuttosto movimentate, ma che nonostante questo riescono a muoversi con assoluta rilassatezza, evitando parti furibonde o di scombinata improvvisazione. Sembra quasi esserci un controllo assoluto dei temi, affinché non si imbarbariscano e si mantengano entro limiti di avanguardia controllata, stile in cui furono maestri gli Henry Cow.
E proprio questi ultimi sono probabilmente la maggior ispirazione musicale degli Outre Mesure, magari assieme a band della sponda canterburyana e senza dimenticare all’angolo Frank Zappa o i King Crimson.
Benché la composizione sia affidata ad un chitarrista, dominano in maniera netta i fiati e i due musicisti Marc Dosiere, tromba e corno e Jerome Rosele, sax tenore e flauto, svolgono davvero un gran lavoro, e lasciano alla chitarra un lavoro incessante di tessitura a volte più sotterraneo a volte più evidente. La notevole sezione ritmica, Olivier Verhaeghe al basso e Charles Duytschaever alla batteria, ha il gravoso compito di guidare il forte spirito poliritmico delle composizioni in maniera energica e al contempo non essere mai invadente, compito riuscitissimo.
Il brano di apertura “Mingas” è un po’ il sunto dell’intero lavoro e fa sapientemente da preparazione ai vari temi che susseguiranno. Il RIO, perché sostanzialmente possiamo ridurre il tutto a questo stile, presentato dalla band è molto musicale a tratti persino e paradossalmente romantico, descrittivo, anche nei momenti più contorti, come nella sezione centrale del brano, ma bastano una manciata di ascolti perché gli echi frippiani e zappiani si facciano portavoce della grande sensibilità musicale della band.
Piuttosto diverso è l’approccio, invece della lunga “Goulash électrique”, un mid tempo carico di groove jazzato e con una sezione dal forte sapore di “lingue di allodola in gelatina”. Nella migliore tradizione jazz – jazz/rock c’è pure un tecnicissimo assolo di batteria e, verso la conclusione, una parata di tempi dispari molto intrigante.
Ben diverse anche le innumerevoli cose stipate nel brano più lungo del lavoro “Le mal de cadéras”, tredici minuti e mezzo di cambi per una struttura fatta di bilanciate accensioni dinamiche e improvvisi abbassamenti che hanno nella staticità delle forme la loro peculiarità e poi ancora un’esplosione chitarristica per un assolo di quelli che riempiono il cuore di energia positiva.
E, ovviamente, non è tutto qua e lascio al lettore le innumerevoli altre scoperte da fare in questo ottimo disco.


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Roberto Vanali

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