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HOOFFOOT |
Hooffoot |
Paura Di Niente |
2015 |
SVE |
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Si narra (o meglio, lo narra lui stesso) che quando il bassista Pär Hallgren, leader e fondatore degli Hooffoot (ed ex Carpet Knights ed Øresund Space Collective), scoprì il Rock Progressivo Italiano ed il Jazz dei ‘70s fu una sorta di rivelazione. Nel 2009 nacque quindi a Malmö il primo nucleo di questa nuova band che, iniziata poco più che per scherzo e dopo le solite vicissitudini, nel 2013 riesce ad avere una line-up ampia e stabile, formata dall’altro ex Carpet Knights (ed Øresund Space Collective) Joakim Jönsson (chitarra), Jacob Hamilton (batteria), Bengt Wahlgren (tastiere), Ola Erikson (tastiere, anche lui transitato negli Øresund Space Collective) e Mikael Ödesjö (Agusa). I nostri provano a registrare un album in Danimarca ma le cose non andarono a buon fine per motivi (pare) tecnici e psicologici. Questo fallimento avrebbe potuto rappresentare il colpo mortale per il fragile equilibrio di una band che stava sperimentando cose che forse venivano sentite al di là della propria portata… ma la tenacia e la voglia di suonare questo tipo di musica era forte, evidentemente, e anche il fatto di aver suonato assieme ai leggendari Fläsket Brinner può aver dato la spinta giusta, assieme all’incontro col produttore Christoffer Lundquist, noto in patria per le sue produzioni commerciali ma decisamente meno per ambiti meno mainstream. A quanto pare Lundquist dette la giusta spinta psicologica al gruppo (esemplare anche il nome scelto per la label creata ad hoc) e a febbraio 2015 arriva finalmente la pubblicazione dell’album in oggetto, uscito solo su vinile e in digitale e caratterizzato da due lunghe composizioni che occupano per intero le due facce del disco. La prima di queste due tracce venne poco dopo trasmessa per intero alla radio nazionale svedese; da quanto tempo non succedeva una cosa del genere? Eccoci quindi a parlare di quest’album dalla durata contenuta (poco più di 34 minuti in totale) che ci offre, come detto, due lunghe tracce che spaziano in territori jazz-rock, con evidenti assonanze con vari nomi del Progg svedese (Fläsket Brinner su tutti, ma anche Egba e Dimmornas Bro… ma anche i più recenti Elephant9), Soft Machine e Prog italiano (Balletto di Bronzo, Perigeo e Agorà fra gli altri). I 18 minuti e passa della prima parte (“Last Flight of the Ratite”) partono in maniera dinamica e più rock, per poi gettarsi in una serie di jam dai contorni più jazzati ed anche spacey (le esperienze con gli ØSC hanno lasciato qualche strascico, evidentemente), con dovizia di variazioni e utilizzo di fiati (da parte degli ospiti Gustav Sörnmo -tromba- e Ida Hallgren -sax baritono-). La prima parte della traccia contiene appunto momenti che catturano inevitabilmente l’attenzione, con un organo ruggente e una chitarra in primo piano. Il tragitto si fa più avventuroso nel prosieguo, col tema d’inizio che periodicamente si riaffaccia, quasi a rimettere ordine quando le jam si fanno più sfrontate. Le ritmiche si mantengono comunque vive e animate, anche nei lunghi momenti , verso il finale, in cui il Rhodes rimane solo a contrastare i rauchi mormorii della chitarra. La seconda parte (“Take Five, Seven, Six, Eight, and Nine”), della durata di 16 minuti, appare più complessa ed eclettica della prima, con momenti che rasentano l’avanguardia a fronte di altri in cui sonorità di flauto allietano l’orecchio. Il brano ci mette un po’ a decollare ma, quando lo fa, riesce a trovare la melodia giusta, pur senza raggiungere le vette dell’altra traccia. Le solite jam, con l’organo, il Rhodes e la chitarra che si alternano nel prendere il sopravvento, e il tema orecchiabile che viene progressivamente ripreso. Un intermezzo calmo e d’atmosfera, dettato principalmente dal (finto) flauto, occupa la parte centrale della traccia, la quale poi lentamente riparte per avventurarsi in territori psichedelici, prima dell’ultimo, improvviso, cambio di umore. Stop & go… la traccia lentamente riprende quota e sia avvia finalmente verso il gran finale da big band jazz. L’album vola via in un amen; non è certo esagerato e retorico affermare che la voglia di riascoltarlo dal principio venga spontanea. Il lavoro di esordio degli Hooffoot non può lasciare indifferenti chi ama un Prog non ancorato al sinfonico o alla melodia di facile consumo. Il gruppo ha lavorato duramente ed ha creduto nelle proprie possibilità di dar vita a un album del genere; senza dubbio si tratta di una delle migliori prove del 2015 a cui, purtroppo, si può giungere con una certa difficoltà (a parte il download, il vinile è stato pubblicato in sole 500 copie).
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Alberto Nucci
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