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STERN COMBO MEISSEN |
Bilder einer ausstellung - Pictures at an exhibition - The rock version live |
BuschFunk Musikverlag |
2015 |
GER |
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Gli Stern Combo Meissen sono una leggendaria band che a partire dalla seconda metà degli anni ’70 sfornò una manciata di album in quella che all’epoca era la Germania dell’Est. Spiccava, in particolare, “Weisses gold”, gemma di rara bellezza incentrata su un rock sinfonico altisonante e che sprigionava magia. Poi una storia già sentita: gli anni ’80, i cambi di formazione e, soprattutto, di stile, alla ricerca di una maggiore immediatezza che portò, come ai numerosi colleghi anche più famosi, ad un brusco calo qualitativo. Nel nuovo secolo la gloriosa sigla è stata rispolverata dapprima per esibizioni dal vivo, poi con la realizzazione di un valido album, “Lebensuhr”, nel 2011. Nel lasso di tempo che va dagli esordi ai giorni nostri gli avvicendamenti in formazione sono stati parecchi e la line-up che va in giro oggi è molto lontana da quella dei primi anni di attività discografica. Al punto che quello che sembra aver preso in mano le redini del gruppo, il tastierista Manuel Schmid, classe 1984, non era neppure nato quando gli Stern Combo Meissen pubblicavano i primi album. Ma veniamo ai giorni nostri e parliamo di questo nuovo lavoro del gruppo. Non brilla certo per originalità l’idea di realizzare una versione rock della celebre “Pictures at an exhibition” di Modest Mussorgskij, nota agli amanti del prog soprattutto grazie alla trasposizione proposta nei seventies da Emerson, Lake & Palmer. Rispetto alla versione del trio britannico, tuttavia, gli Stern Combo Meissen danno una rilettura completa dell’opera, includendo tutti i “Quadri” musicati dal compositore russo. Non solo, come testimonia questo documento il gruppo tedesco, immortalato per l’occasione sul palco, è accompagnato dall’Orchestra Sinfonica di Lipsia, che trova tantissimo spazio durante le esecuzioni. In una bella confezione cartonata apribile in tre parti sono contenuti sia un cd sia un DVD attraverso il quale possiamo ammirare il concerto in video. Il celebre tema “Promenade”, che apre l’opera, è eseguito inizialmente dalle sole tastiere, ma poi entra in scena anche l’orchestra, che invece si impegna da sola per “Gnomus”, il primo quadro. Con la seconda “Promenade” incontriamo anche le parte vocali, in tedesco, che sono forse l’unica cosa che non convince del tutto, a causa dell’idioma un po’ aspro che stride se viene immediato un naturale paragone con quanto cantato da Greg Lake negli anni ’70. Dopo un interludio vocale è la volta de “Il vecchio castello”, con il quale entriamo nel pieno dell’opera. Tra due esecuzioni di questo brano, una per la band ed una per l’orchestra, si vivono alcuni dei momenti più entusiasmanti del concerto, con il rock sinfonico solido dalle tastiere in grande spolvero di “Schloss Rockstein”, inedito accreditato a Schmid, e con l’inserimento di un’altra nota composizione di Mussorgskij, “Una notte sul Monte Calvo”, già nel repertorio della band, ma che qui tocca l’apice in una vera e propria esplosione epica. A questo punto siamo nel vivo del concerto; si alternano momenti in cui la band e l’orchestra suonano insieme (“Il mercato”, “Catacombe” e “Baba Yaga”), in cui ci sono solo gli strumenti classici (“Bydlo”, “Balletto dei pulcini nel loro guscio”), o dove insieme alla base orchestrale si inseriscono intriganti keyboards-solo (“Tuileries”, “Samuel Goldenberg & Schmuyle”). Si affrontano, quindi, momenti puramente classicheggianti ed altri in cui emerge maggiormente l’energia rock, ma non mancano situazioni con parti recitate, una “Promenade 5” in cui fa il suo ingresso un coro trionfale e persino un assolo di batteria. Il finale affidato a “La grande porta di Kiev” è ovviamente maestoso, anche per merito di un nuovo intervento del coro. C’è da dire, in generale, che gli arrangiamenti curati dal direttore d’orchestra Stephan König mostrano dei tempi un po’ più lenti rispetto alla versione ELP. Questa caratteristica tende a dare un aspetto un po’ più oscuro alla musica, soluzione apprezzabile e, chissà, forse cercata anche proprio per evitare eccessive somiglianze con quanto inciso su disco nel 1971 dalla prog-band inglese. Da tutto ciò scaturiscono apprezzabili equilibri e ne vien fuori uno spettacolo bellissimo, pienamente godibile, chiaramente studiato in ogni dettaglio, con arrangiamenti che sembrano voler mettere in risalto più la raffinatezza delle partiture originali che un potenziale indirizzo troppo pacchiano e kitsch.
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Peppe Di Spirito
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