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VECTEUR K Incident au café Unicorn Digital 2016 CAN

Per il loro secondo album, i canadesi Vecteur K hanno tirato fuori un concept che narra la storia di un attentato in un bar di Montréal e della ricerca, da parte del protagonista della storia, dell’assassino, cosa che lo porterà fino a New York, attraversando anche un percorso interiore che gli faranno elaborare i sentimenti di vendetta.
Secondo album (più un EP), dicevo, per questo gruppo formatosi nel 2003 ed il cui esordio full length risale al 2009. Siamo, quindi, più o meno in linea coi tempi che la band pare si sia data. La formazione attuale, dopo gli abituali cambi di formazione, annovera Marc-André Noël (voce e chitarra), Marc-Antoine Sauvé (chitarra), Jonathan Dion (basso), Alexandre De Sève (batteria) e Cédric Charest-Lafond (tastiere). L’album che abbiamo qui in ascolto è abbastanza eterogeneo, spaziando da momenti quasi cantautoriali molto tipici della musica rock francofona (vedi Serge Fiori), a un rock reminiscente dei Porcupine Tree (non i migliori), fino a sfuriate al limite del Progressive Metal, offrendo variazioni di umore e situazione all’interno delle singole tracce, peraltro di minutaggio quasi mai elevato. C’è quindi un’alternanza tra momenti più musicalmente brillanti ed altri più lirici in cui il cantato si fa più tranquillo e quasi sussurrato, accompagnato magari solo da una chitarra.
L’impressione però è che la band per quasi metà dell’album viaggi col freno a mano tirato, forse imprigionata nel racconto del concept; fatto sta che i momenti migliori si hanno avvicinandosi alla fine, cominciando dai due brani più lunghi “714 Park Avenue” e “Rencontre, Dialogue et Vendetta”. Quest’ultimo però è così frastagliato e discontinuo che ha quasi l’aspetto di una suite o di un collage di brani diversi, rappresentativo senz’altro dei tormenti del protagonista, giunto all’epilogo della sua avventura. Epilogo? No, aspettate… Il brano che segue, e che chiude l’album, si intitola “Prologue” e ci riporta indietro, proprio al momento precedente alla sparatoria, con un bel duetto in crescendo emotivo tra il cantante e la voce femminile che impersona Sarah, il terzo personaggio della storia.
Come detto, l’album stenta a decollare; le ballads e i momenti più tirati non sono brutti, si possono anche ascoltare con piacere (il disco è ben suonato, tutto sommato, e ben registrato), ma il gruppo in questa fase fallisce nel coinvolgimento dell’ascoltatore nella drammaticità della storia narrata e finisce che i primi brani scorrano via, pur tra un cambio di umore e l’altro, senza catturare più di tanto l’attenzione. Non si resta esattamente entusiasti di quanto questo gruppo ha da offrirci quindi, ma fortunatamente l’emotività che cresce al momento di giungere al climax della storia risolleva le sorti. Buon album, in definitiva, che si posiziona nella classica aurea mediocritas.



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Alberto Nucci

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