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AD MAIORA |
Repetita iuvant |
autoprod. |
2016 |
ITA |
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Scegliendo ancora una volta la strada dell’autoproduzione, gli Ad Maiora giungono al traguardo del secondo lavoro discografico, dal titolo “Repetita iuvant”, dopo le buone impressioni lasciate con il debutto omonimo del 2014. L’album è composto da 8 tracce (a cui va ad aggiungersi una cover dei Procol Harum), alcune cantate in italiano, altre in inglese mentre tre sono i brani strumentali. Il prog-rock del gruppo milanese presenta qualche aggancio alla tradizione italiana seventies (Banco in primis…), ma non rifugge, tutt’altro, i suoni più “moderni” in cui le tastiere di Sergio Caleca (autore della maggior parte delle musiche) hanno quasi sempre un ruolo predominante. Non sempre convincono le liriche (in particolar modo “Fermati”) e, a mio avviso, anche la scelta di alternare testi in inglese a quelli in italiano. Forse una decisa preferenza verso una o l’altra lingua darebbe maggiore omogeneità al prodotto. Ma de gustibus… ovviamente. Sono comunque maggiori gli aspetti positivi di questo “Repetita iuvant” che si apre con “Molokheya” (cantata in inglese), dal suono fresco e brillante delle tastiere di Caleca. Bello il testo di “denuncia sociale” di “Life” in cui inizialmente predomina la chitarra di Carnovali e una ritmica decisa ad accompagnare il canto di Callioni. Il punto esclamativo lo pone il solito Caleca, il cui “solo” conduce il brano su un solido binario new prog, che affiora frequentemente anche nei brani successivi. Penalizzata da un testo non proprio convincente, “Fermati” ha comunque un bel “punch”, mentre “Torba (il primo strumentale), oltre ad essere il brano più lungo (sfiora gli 8 minuti) è anche uno dei più suggestivi. Un arioso sussulto sinfonico in cui Caleca si sbizzarrisce con le sue numerose tastiere (solo apparentemente vintage…), senza dimenticare gli ottimi interventi della chitarra elettrica di Carnovali. La title track è uno dei pezzi meglio congegnati con Hammond, Mellotron e flauto (campionato) che dipingono delicatamente i contorni essenziali. Anche l’ultimo brano strumentale, “Never mind”, è senza dubbio riuscito e si avvicina, con i suoi toni delicati, ad una certa “fusion”, mentre il finale vira verso il blues. Sentori floydiani echeggiano nell’introduzione di “Etereo” (con un bel guitar-solo di Carnovali) che meritava, forse, uno sviluppo ulteriore e più dilatato ed invece si chiude un po’ troppo rapidamente. Nel complesso “Repetita iuvant” è un bell’album, dal buon feeling e con delle buone idee e che ci lascia decisamente soddisfatti. Con qualche “aggiustamento” qua e là crediamo che il gruppo possa anche fare meglio. Nel frattempo speriamo che riesca a farsi ulteriormente conoscere dal sempre esigente pubblico prog. Sarebbe già un successo. Meritato.
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Valentino Butti
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