|
INFINIEN |
Light at the endless tunnel |
autoprod. |
2016 |
USA |
|
Il primo accostamento che viene alla mente, ascoltando i primi minuti del secondo lavoro (e non avendo già ascoltato la loro produzione precedente) di questa giovane band (ma già con un’esperienza più che decennale), è quello di Esperanza Spalding, sia per la timbrica e le armonie vocali di Chrissie Loftus che anche per la musica proposta, così sbilanciata sul jazz. Man mano che i minuti scorrono ci rendiamo conto che c’è ben di più che il jazz nella loro proposta, anche se la voce continua inesorabilmente a parlarci della bella foltocrinita di Portland. Il gruppo che costituisce gli iNFiNiEN (questa la grafia corretta del nome) è costituita da quattro musicisti: Jordan Berger (basso, voce e percussioni), Tom Cullen (batteria), Matt Hollenberg (chitarra, Bulbul Tarang -uno strumento a corde indiano-, tabla, Moog), e appunto Chrissie Loftus (voce e tastiere). Ad essi si aggiunge, in tre tracce, una vera e propria chamber orchestra di 12 elementi, condotta da Jonathan Salmon. La prima di queste tracce orchestrate è proprio quella d’avvio (“Brand New”), anche se l’orchestrazione è molto discreta, salendo di tono solo a metà del brano, ma il feeling è fortemente jazz e vengono messe subito in evidenza le splendide qualità vocali di Chrissie. “AYA” fonde il jazz con sonorità orientali e sprazzi di psichedelia, con melodie avvolgenti in cui il cantato vola alto e il brano, nella sua seconda metà, sale decisamente di tono, con un finale vagamente crimsoniano (chitarra in primis). La breve “Oasis” cede nuovamente il ruolo principale alle melodie eteree del cantato, ben supportato da liquide note di piano. La successiva “Off the Tracks”, tanto per restare all’interno dei paragoni con Esperanza, ci ricorda un po’ l’ultimo album di quest’ultima (“Emily's D+Evolution”), in cui le splendide note vocali jazzy navigano all’interno di sonorità più rockeggianti e psichedeliche; in questo caso, il rock dalle complesse ritmiche che sentiamo profuma di Gentle Giant e King Crimson… ed è un bel sentire. Un brano fortemente adrenalinico. L’avvio di “Bottom of the Food Chain” torna su ritmiche e sonorità più melliflue e carezzanti, con discreti accenni di bossanova che comunque sfociano in ritmiche più complesse che rischiano di passare inosservate, distratti come siamo dalla bella voce di Chrissie. La title track è il brano più lungo degli 11 presenti e presenta una molteplicità di sonorità che ci fa invocare il nome di Zappa, con ritmiche frenetiche e schizoidi, accenni orientaleggianti, sfuriate psichedeliche e melodie vocali bizzarre; davvero un brano particolare e mozzafiato. Con “Love for Yourself” si torna a rallentare, per un brano apparentemente ordinario, dalle atmosfere notturne, ma come sempre affascinante. E’ la volta ora di due brevissimo brani, “Worth the Wait” e “If I Were a Song”; la prima è caratterizzata da belle parti di piano e note di flauto mentre la seconda, costruita per sola voce e orchestra, è in pratica la prima parte della successiva “If You Were a Song”, anch’essa con l’orchestra e decisamente più movimentata, con ritmi di samba che poi defluiscono in un brano più tipicamente Prog, con echi di Caravan e Gentle Giant. La conclusione di questo bellissimo album è affidata a “Existence”, in cui il basso si muove in primo piano su ritmiche e atmosfere africane. Ho detto che si tratta di un bellissimo album e non ho certo intenzione di ritrattare; si tratta di una prova assolutamente convincente da parte di un gruppo di musicisti giovani ma già esperti e dalle doti tecniche di cui ognuno potrà rendersi conto. Su tutti però, e non me ne vogliano gli altri, c’è lei, ovvero la splendida prestazione vocale di Chrissie. Innamoratevene anche voi.
|
Alberto Nucci
|