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SYNCAGE |
Unlike here |
Bad Elephant Music |
2017 |
ITA |
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Il quartetto vicentino, formato da polistrumentisti, mostra nel proprio sound le estrazioni musicali eterogenee dei protagonisti coinvolti. Qualcosa che tocca il prog, il jazz, il metal, l’alternative, senza però soffermarsi su nessuno dei generi sopra esposti. C’è durezza e asprezza nella loro proposta, anche in linea con il concept che sta alla base di questo esordio, che segue l’EP “Italiota” del 2014, entrato peraltro nella “Top 10 migliori EP sperimentali del 2014″ della radio americana “Dandycast Radio”. Il gruppo veneto – che ha partecipato al Veruno Prog Festival ed ha vinto premi come quello della critica di “Voci per la libertà” di Amnesty International– mette in scena una società suddivisa in quattro classi: quella degli attori ignari (la classe dei lavoratori), i maestri di moda (insegnanti e polizia), gli attori consapevoli (i politici) e poi colui che sta sopra tutti, il Direttore, un dittatore invisibile. Una struttura che rispecchia l’impegno della band anche nel mondo teatrale, come del resto sta a dimostrare il progetto “Cromatismi: Il suono dell’immagine”, spettacolo che unisce suoni e pittura, quindi musica e immagini (un involontario riferimento ai Dream Theater?!). E infatti “School” apre l’album come se cominciasse uno spettacolo grottesco e sarcastico,con una complessità ermetica ed un basso pulsante che si rifanno chiaramente ai Sieges Even di “Uneven”(1997). La voce del chitarrista Matteo Nicolin, a tal proposito, si muove nello stile di Jogi Kaiser e Greg Keller, entrambi transitati in tempi differenti proprio nella band tedesca. “A sense of change” (1991), “Sophisticated” (1995) ed il già menzionato “Uneven” sono punti di riferimento irriverenti e sfrontati, come si avverte anche su un pezzo come “Still Unaware”, a cui si aggiungono personali sprazzi jazz e stacchi di malinconico pianoforte. Tra i due pezzi, da segnalare “Uniform”, con il violino suonato dal tastierista Matteo Graziani ed il flauto del bassista Daniele Tarabini, dal forte sapore da ballata folk-rock anglosassone, anche grazie agli arpeggi veloci di chitarra acustica. C’è poi “Skyline Shift”, altro pezzo quieto ma ricco di intarsi da sentire soprattutto in cuffia, con una seconda parte più elettrica e di natura tendente al…post. La seguente “Stones Can’t Handle Gravity” sa molto di alienazione floydiana, con chitarra acustica e cantato monocordi, forse sognanti (o deliranti?), per poi passare ad una voce a tratti quasi gridata in stile vecchio Roger Waters. Diciamo che il meglio i quattro musicisti lo hanno quasi del tutto dato nei brani iniziali, anche se ci sono comunque altre fasi da analizzare, tipo quelle di “Redirect”, che come da titolo suona dura, dittatoriale, declamatoria, con la tensione che poi fluisce libera nel finale. Ci sono anche “Bearing the Colour”, intricata ma con risvolti accattivanti in stile Moon Safari, ed i quattordici minuti di “Edelweiss”, permeati inizialmente da una elettronica quieta e da un successivo cambiamento di registro elaborato anche grazie al suono sinistro del violino, terminando con l’assolo di Sean Lucariello alla tromba a cui seguono rumori finali. Certo, ci sarebbe anche la varietà di “HingerAtones”, con gli strumenti ad arco dell’Unlike Here String Quartet, così come la conclusiva title-track, in cui si è fuggiti verso le montagne, cominciando a respirare e a incontrare altre persone che non indossano maschere. Molta carne al fuoco, come si sarà intuito. Pochi virtuosismi solisti, ma quando vengono accennati si capisce di che pasta sono fatti i relativi artefici. La ritmica è l’asse portante, grazie a Tarabini e Riccardo Nicolin alla batteria. Ma anche la voce ed i violini risultano fondamentali, a dimostrazione che questo debutto è davvero un lavoro di insieme, in cui ogni elemento – pur nel suo essere impervio – è inserito al proprio posto. Proposta non facile e sicuramente ci sarà da appianare certi spigoli che a volte risultano eccessivi. Comunque, l’evoluzione musicale passa anche da qua, con un orecchio alla tradizione e la mente proiettata verso altri schemi. Staremo a vedere cosa accadrà in futuro.
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Michele Merenda
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