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ARABS IN ASPIC |
Synderes magi |
Apollon Records/Black Widow Records |
2017 |
NOR |
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Con un’apprezzabile continuità (quarto album in sette anni) si ripresentano i norvegesi (di Trondheim) Arabs In Aspic con il nuovo album “Synderes magi” (“La magia del peccato” in italiano). Stavolta l’album non è “targato” Black Widow, come i tre precedenti, bensì Apollon records, mentre la label genovese si occupa solo della sua distribuzione. La band, per chi ancora non la conoscesse, si rifà ad un sound molto vintage e seventies che spazia dallo hard rock alla psichedelia con incursioni più “tipicamente” progressive (ci sia perdonato il “tipicamente”…) in ambito soprattutto crimsoniano. Negli album precedenti era privilegiata una forma canzone che colpiva al cuore l’ascoltatore con i suoni caldi di Mellotron e Hammond. In “Synderes magi” invece i brani sono solo tre e tutti lunghi ed il sound si è fatto più oscuro e cupo anche grazie all’uso esclusivo della lingua madre norvegese. La lunga durata delle composizioni permette alla band di sviluppare al meglio le numerose idee che negli album precedenti, talvolta, risultavano un poco compresse e non completamente sviluppate. La line-up è la stessa degli ultimi lavori e cioè Jostein Smeby (voce e chitarre), Eskil Nyhus (batteria e percussioni), Stig Kvam-Jorgensen (tastiere e voce) e Erik Paulsen (basso e voce) oltre agli ospiti Halvor Viken Holand al violino ed Alessandro Elide alle percussioni. L’ipnotica introduzione della title track è il biglietto da visita dei ragazzi scandinavi, poi il brano cambia direzione trovando, dapprima, il binario crimsoniano (dei tre album con Wetton per capirci) e poi quello floidiano (tra “More” e “Meddle”). Gli interscambi sono però continui conditi anche da sprazzi “sabbathiani” che riecheggiano qua e là. E’ la volta poi di “Mørket 2”, la cui prima sezione era presente in “Strange frame of mind” (album del 2010). I suoni orgogliosamente vintage, la sferzante chitarra di Jostein Smeby, il basso ossessivo di Erik Paulsen, lo Hammond che imperversa, il cantato di ostico ascolto, sono tutti elementi perfetti a creare un’atmosfera “malata” e sulfurea. “Mørket 3”, l’ultima traccia, segue, amplificandone, le medesime coordinate con, in aggiunta, cori luciferini ad accompagnare la ritmica ossessiva, uno Hammond à la Uriah Heep ed una chitarra “grezza”: tutto sgorga possente e debordante. E tremendamente efficace. Poi, intorno al tredicesimo minuto, la band decide di “flirtare” con le “acidità cosmiche” e chiudere in bellezza in modo soffusamente acustico. ”L’eterno” dilemma progressive o regressive può ovviamente colpire anche “Synderes magi” (come ha colpito altre band scandinave come Wobbler, Agusa, Siena Root ed altre ancora). Per quel che ci riguarda queste sonorità senza tempo avranno sempre una ragione d’esistere finché riusciranno a suscitare grandi emozioni. Quindi confermiamo: “Synderes magi” è un lavoro di assoluta bellezza che non si può che consigliare ad occhi chiusi.
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Valentino Butti
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