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NINE SKIES Return home Anesthetize Productions 2017 FRA

Il New Prog classico, quello di ispirazione Marillion, IQ, Twelfth Night, Pendragon, ha – ovviamente – detto il suo diversi lustri or sono. La corrente ha poi trascinato con se centinaia e centinaia di band che più o meno consciamente, più o meno ispirate, più o meno istintivamente hanno ampliato le forme, ripetuto gli schemi e i suoni, accentuato un aspetto piuttosto che un altro, messo in campo la propria personalità perché potesse essere termine di distinzione. Questo è avvenuto un po’ in tutte le nazioni, non solo nella madre patria Inghilterra, anzi, per certi versi, la corrente di emulazione o di continuazione, ha trovato terreno più fertile in nazioni come Italia, Polonia, Francia.
Proprio dalla Francia questi musicisti, la cui formazione risponde al nome di Nine Skies, arrivano sul mercato con il loro disco d’esordio. Un CD vario e interessante che coniuga molto bene vari aspetti del new prog di stampo inglese, con particolari intrusioni dal sapore più fusion, se non proprio jazz rock. Promuovo senz’altro la scelta, che consente di dare un’impronta molto personale al disco.
La band è di grande impatto sonoro, determinato anche dalla presenza di ben 10 elementi, due vocalist (Alexandre Boussacre e Freddy Scott), due chitarristi (David Darnaud e Eric Bouillette), due tastieristi (Anne Claire Rallo e Alexandre Lamia, alternativamente anche chitarrista), basso (Bernard Hery), batteria (Fab Galia), sassofono (Laurent Benhamou) e flauto (Penny Mac Morris).
Per una band così articolata il pericolo può essere quello di mettere tanta carne al fuoco a discapito del risultato. Non è questo il caso, le idee sono buone e sviluppate nel migliore dei modi. Ne viene fuori un concept album nel quale in ogni brano viene sviluppato un aspetto della vita in una città moderna, attraverso i personaggi che la abitano e le cui esperienze vengono filtrate dall’occhio e dall’immaginazione di un unico narratore, mischiando, così, realtà e finzione come in un film.
Talvolta la musica si fa (leggermente) più dura e spigolosa, ma è sempre il basso a stemperare portando il risultato musicale entro lidi più tipicamente progressive, come del caso di “The slight snake” che con i suoi aspetti hard ha un’impronta più decisa.
Sono le parti di chitarra e in seconda battuta le voci che avvicinano maggiormente il prodotto al new prog, lo si sente bene nell’opener “Return home”, ma anche nella più lunga e dinamica “Roses never hatch” brano molto marillioniano. Molto buona anche la sezione centrale strumentale di “Season of greed”, con un bel flauto campionato a ricordare certi antichi suoni di mellotron, o la breve, strumentale, romantica “Catharsis”. Il brano che, per vari aspetti, si eleva un po’ sopra a tutto è The Blind Widower, con una prima lunga parte decisamente di carattere fusion, molto dinamica e variabile nel suo corso, se ne discosta, invece, la seconda parte, che presenta ottime parti di flauto e una meno forte impronta new prog generale, a vantaggio di forme più radicate del progressive tradizionale, quello che individuiamo come prog sinfonico. Cito ancora una volta la particolare e interessante “The slight snake” con atmosfere che mi hanno riportato a band come i Twelfth Night ma anche i poco conosciuti Random Hold, prodotti a suo tempo da Peter Hammill.
Un ottimo esordio e band da tenere in stretta osservazione, sia per una scrittura non certo nuova, ma molto fresca, spontanea e interessante e anche dotata di capacità tecniche, specie nella sezione ritmica, davvero ragguardevoli. Per loro, per il loro futuro, mi auguro ricchezza di produzione su questi ottimi livelli.



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Roberto Vanali

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