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ID GUINNESS |
Lost language |
Rapid Transformation Music |
2018 |
CAN |
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Come ho potuto apprendere dalle interviste disseminate sul web, ID Guinness è uno pseudonimo ispirato direttamente dalla scena di Arancia Meccanica in cui Alex rovistava tra gli lp nel negozio di dischi e pescava proprio un album di ID Molotov... Date queste premesse ci possiamo aspettare qualcosa di particolare e l'ascolto in effetti ci porta verso un disco dal quale in un certo senso è difficile restare indifferenti, sempre che si riesca ad essere in sintonia con attitudine e sonorità non distanti dai primi anni ottanta, quindi con una musica la cui identità si avvicina molto alla new-wave... La bio di "Lost Language" ci informa che è un disco "adult alternative/indie" un ritratto alquanto vago e riduttivo a dire vero! ID Guinness in realtà è operativo sin da giovanissimo verso la fine degli anni settanta, collaborando con alcuni artisti misconosciuti se non del tutto oscuri della scena indipendente di Vancouver, come Don Tarris, gli Airborne e Arrival, tra soft-rock, folk e progressive. Durante i primi anni ottanta ID Guinness, colto pienamente lo spirito della new-wave, suonerà le tastiere nell'ep cult degli art-punk Red Herring "Test Tests" uscito nel 1985; ID inizia la sua carriera solista solamente nel 2007 con il suo primo cd "Cure For The Common Crush", seguito dal secondo "Soul Envy" pubblicato nel 2010... Quindi sono trascorsi otto anni con questo terzo album "Lost Language" ma direi proprio che non è andata perduta l'ispirazione: affiancato da una buona band, ID Guinness non si discosta stilisticamente dai precedenti lavori, con buone canzoni di ombroso pop rock venato di malinconiche introspezioni ed intense ballate decadenti. Forse più che nei lavori precedenti, in "Lost Language" si fa più netta la prevalenza di impressioni new-wave derivate dall'ammirazione verso Ultravox, Roxy Music e David Bowie: in effetti il cd si chiude proprio con un vecchio brano degli Ultravox tratto dal loro terzo album "System Of Romance", qui riadattato in maniera molto languida e rilassata un pò come se stata coverizzata dai Roxy Music di "Avalon", tanto per intenderci, l'effetto è comunque piuttosto curioso e piacevole... Ancora, nella delicata e vellutata "White Bird In A Blizzard", canzone dedicata al padre defunto, ID Guinness omaggia allo stesso tempo Brian Ferry con una bella performance vocale ed un tessuto musicale ricco delle migliori sfumature del pop inglese dei primi anni ottanta, non ancora del tutto imbolsito dal kitsch a buon mercato che da lì a poco avrebbe inondato il mercato discografico su scala mondiale. La più tirata "Irradia" pare un indie-rock contemporaneo filtrato dai primi Ultravox, Gary Numan e David Bowie, con parti di sax piuttosto caratteristiche del genere e le sonorità dei synths dal tipico gusto retrò-futuristico. Durante le fasi più acustiche e progressive, quasi dai tratti gotici, si intravedono le ombre pinkfloydiane di Roger Waters, come nella tetra ballata di "Water Wings" e la più visionaria e plumbea di "Now", mentre in "Two Katherines" ID si orienta più verso un indie-folk rock raffinato e velato di malinconico disincanto; interessante anche l'unico pezzo che propriamente si potrebbe definire synth-pop, in quanto i riferimenti a David Bowie si fanno più espliciti sia nelle inclinazioni delle melodie che nelle vocals. ... Nel suo insieme questo cd è quanto di più piacevole si potrebbe aspettare da un disco di rock-pop realizzato con classe e consapevolezza, ID Guinness oltre che convincente e versatile vocalist è anche un tasterista capace di tessere trame melodiche ed atmosfere cariche di tensione visionaria pure all'interno di elementi musicali teoricamente considerati "mainstream", quindi forse meno appetibili per chi è alla ricerca del più puro progressive rock, ma assai allettanti in particolare, ovviamente, per chi ha mantenuto nel tempo una certa inclinazione ed attrazione verso la new-wave velata di inquietudini ed umori dark..
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Giovanni Carta
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