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DALTON Eden AMS Records 2019 ITA

OK… registriamo anche questa ennesima reunion di un gruppo italiano degli anni ’70. La nuova avventura dei Dalton si presenta con la partecipazione di tre musicisti presenti nello storico album d’esordio “Riflessioni… Idea d’Infinito”, uscito nel 1973, ovvero Aronne Cereda (chitarra, sitar, cori ed effetti), Rino Limonta (basso e cori) e Alex Chiesa (flauto, cornamusa, didgeridoo e voce). Ad essi si affiancano in primo luogo le tastiere di Giancarlo Brambilla, presente su “Argitari”, il secondo album del gruppo (1975), e la chitarra e la voce di Nicoletta Gentile. A questi si uniscono alcune collaborazioni tra cui menzioniamo Eva Morelli per alcune parti di flauto, e Fabio Zuffanti per la direzione artistica su una traccia.
Stante questa ricca e qualificata line-up possiamo quindi aspettarci qualcosa di simile, o quanto meno non troppo lontano, da quanto la band aveva realizzato negli anni ’70? Diciamo che, se proviamo ad accostare quest’album agli album storici, troviamo senza dubbio maggiori assonanze con “Argitari” piuttosto che con l’ottimo esordio. Abbiamo qui 9 canzoni (più un preludio) piuttosto brevi, decisamente più pop che rock e con forti tematiche religiose, con orchestrazioni talvolta abbastanza ricche ma in generale sorrette dalla chitarra acustica, con sporadiche parti di flauto (e si riconoscono, in senso positivo, quelle ad opera di Eva Morelli).
Alcuni brani riescono ad osare qualcosa in più, come “La Forza di Dio”, con parti strumentali maggiormente in evidenza, o “Guarda il Vento” che vanta un’orchestrazione curata, con parti di pianoforte che la impreziosiscono, o ancora la conclusiva “Una Danza per Claudia”, brano strumentale contraddistinto da una lunga parte di cornamusa e da ritmiche e suoni particolari.
Ma in linea generale la guida di questa nuova incarnazione dei Dalton sembra in mano proprio della Gentile, il cui cantato e la cui chitarra (benché non onnipresenti) danno proprio l’impronta decisiva, da canzone religiosa o messa beat, alla globalità delle canzoni qui presenti. Le parti strumentali nell’album non sono da disprezzare e sono anzi piuttosto curate, anche se, come detto, salvo eccezioni non osano granché oltre la costruzione di melodie che contornino le armonie vocali.
Non so se si possa definire quest’album una delusione; ci sarebbe da chiedersi se fosse plausibile aspettarsi di più, visto che, appunto, già il secondo degli album storici della band era orientato in questa direzione.



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Alberto Nucci

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