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STARFISH64 The future in reverse autoprod. 2018 GER

Gli Starfish64, qui al loro esordio discografico, videro la luce nel 2006 per mano del cantautore tedesco Dieter Hoffmann (voce e chitarra), originalmente intesi come backing band per la presentazione dei suoi lavori solistici; con il passare degli anni, il gruppo assunse un’identità propria e ciò coincise con una transizione dallo stile cantautoriale a qualcosa di più complesso, certamente in direzione del progressive e dell’art-rock. A completare i ranghi troviamo Martin Pownall – basso, chitarra e voce, Dominik Suhl – chitarra e Henrik Kropp – batteria, oltre ad un certo numero di ospiti.
Nella presentazione del disco, la band parla di un lavoro prodotto con “apparecchiature minimali, essenzialmente strumenti e microfoni connessi ad un laptop con un software di registrazione”. È bene tenerlo presente durante l’ascolto, poiché la natura artigianale dell’opera risulta piuttosto evidente, pure senza compromettere il risultato.
“Yesterday's favourite smile” è un pezzo rilassato, pop-rock pianistico con velleità estetiche assimilabili a quanto proposto da band come i Keane o, cercando un riferimento nel passato, gli scozzesi Blue Nile: atmosfera solare, armonie vocali, e l’ambizione di portare all’orecchio dell’ascoltatore qualcosa di piacevole ma non troppo impegnativo. “Tomorrow In Dark Water”, introdotta da basso fretless, glockenspiel e una chitarra registrata alla rovescia su un pattern ritmico, preannuncia qualcosa di più misterioso che - complice il titolo - evoca profondità marine; siamo in territori usualmente dominio dei Pink Floyd (almeno quelli guidati da Gilmour), ma ecco il refrain ricondurre il tutto a qualcosa di maggiormente disimpegnato; per quanto l’oscuro paragone possa essere utile, è la band inglese dei Castanarc, appartenente al folto sottobosco neoprogressivo degli anni ’80 che mi sovviene alla mente. “Determination” è il primo dei due brani di lunga durata, suddivisi in sezioni… stavolta sono i Pink Floyd di “Echoes” ad essere quasi esplicitamente citati, con le famose note di piano trattato ed un synth finalmente solista a lasciare la scena alla voce di Dieter. Sinceramente, la melodia non è memorabile, e le timbriche impiegate un po’ naïf, dando la bizzarra idea di un Richard Wright a budget ridotto, impressione confermata dalla coda “Infinite space” in palese stile “On the run” che conduce il brano un po’ faticosamente al traguardo dei dodici minuti. “Molehills” è un breve brano vivace, con un refrain piuttosto accattivante, un pop-rock potenzialmente radiofonico che lambisce la new-wave. Infine, “Charting an abyss” è la suite in quattro movimenti che costituisce, almeno nelle intenzioni, il pezzo forte del disco: si parte molto lentamente con la sezione “Recurring Dreams”, in cui apprezziamo gli assoli di una chitarra alquanto gilmouriana, che lascia spazio a costruzioni di analoga derivazione: slide guitar, chitarre acustiche, cori femminili, ma il tutto filtrato da una sensibilità “new-prog” che ne semplifica non poco le trame, con risultati apprezzabili ma non certo entusiasmanti nella loro amatorialità.
Ci farà senz’altro piacere sentir parlare ancora degli Starfish64 in futuro, si tratta di una band di indubbie potenzialità, ma considerando la ricchezza e la quantità delle pubblicazioni che oggi inondano il settore, il loro esordio rischia di passare inosservato; ci auguriamo un deciso passo in avanti in quanto a cifra stilistica nel prossimo lavoro, le premesse in fondo non mancano; per ora siamo sulla sufficienza.



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Mauro Racnhicchio

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