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REVEERS To find a place Toks Records / Music Force 2017 ITA

Quattro ragazzi del 1995, con in comune la passione per la musica, si uniscono e formano i Reveers nel 2015. Cominciano a provare puntando su delle jam-session, ma ben presto lavorano a delle composizioni proprie. Nel giro di un paio di anni il repertorio partito da improvvisazioni viene rifinito e la band è pronta all’esordio discografico con “To find a place”. Diciamo subito che si tratta di un disco basato più sull’atmosfera che non sulla tecnica e/o sulle pomposità sinfoniche. In pratica, i Reveers non puntano ad una musica scoppiettante e intricata, ma ad un qualcosa di più indefinito, che può far scattare una scintilla cullando ed avvolgendo l’ascoltatore. L’incipit “Low to the ground” lo mette subito in chiaro con il suo andamento sognante ed un po’ elegiaco, che rievoca entità tipo Pink Floyd e Sigur Ros. Queste sonorità vengono praticamente confermate nel prosieguo dell’album, attraverso brani molto raffinati. Ne è dimostrazione, ad esempio, la seconda traccia “Fortune teller”, con quei lievi ed eleganti contrasti tra pianoforte e chitarra elettrica che rimandano agli Hostsonaten più romantici e di nuovo ai Floyd e con quel finale in crescendo che emoziona non poco. Qualche pezzo up-tempo contribuisce a vivacizzare le cose qua e là (“Thesis, antithesis & synthesis”, “Mosaico”, “Spheres”, “Blind alley”), anche se con costruzioni sempre brillanti e dall’umore variabile. Ad ogni modo si fanno sicuramente preferire quelle composizioni più oniriche e riflessive, come “Music for a silent film”, il cui titolo già dice tutto e che è uno dei momenti più suggestivi del cd, o anche “Waves form the sky”, nel quale si incontrano ancora visioni floydiane e post-rock. La scelta di utilizzare la lingua inglese sembra corretta, visto che con questo idioma il cantato si adatta bene all’impostazione sonora del gruppo, ma bisogna anche dire che nelle parti vocali non è ancora raggiunta la piena maturità e bisognerebbe lavorarci ancora su. Forse si poteva fare qualcosa di meglio a livello di registrazione e di produzione, perché a volte i suoni sembrano arrivare un po’ confusi ed in un lavoro del genere una maggiore “pulizia” avrebbe reso la musica ancora più fluida e godibile. Nonostante queste imperfezioni ci sentiamo comunque di fare un plauso all’esordio di Elia Amedeo Martina, Fabio Tomada, Giulio Ghirardini e Ismaele Marangone, perché analizzando nel complesso “To find a place” restano impressioni più che favorevoli.



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Peppe Di Spirito

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