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VERTØ |
Reel 19 36 |
Fléau |
1978 (Replica Records 2019) |
FRA |
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La Replica Records dimostra tutta la sua audacia e la sua lungimiranza nel recuperare questo album pionieristico (con ristampa rigorosamente in prezioso vinile), forse un po’ sottovalutato all’epoca per la sua feroce vena sperimentale, ma che anticipava visioni e tendenze che anni più tardi si sarebbero affacciate soprattutto nell’ambito della musica noise. Jean-Pierre Grasset, alias Vertø, si colloca all’avanguardia della musica elettronica e sperimentale francese degli anni Settanta anche se il suo debutto “Krig/Volubilis”, registrato in un paio di giorni e uscito nel 1976 per la Pôle Records, a ete fait sans synthetizeurs (è stato fatto senza sintetizzatori), come specificato sulla copertina dove fa mostra di sé anche il seguente motto: Il est temps que ceux qui ont quelquechose a dire n'attendent pas qu'on leur demande… (è tempo che quelli che hanno qualcosa da dire non attendano più che gli vengano fatte domande). Grasset aveva evidentemente molto da dire e, coadiuvato nel disco appena citato da Gilles Goubin, bassista dei Potemkine, agiva prevalentemente con la sua Stratocaster che controllava attraverso le manopole di un vecchio magnetofono Telefunken riadattato. L’anno seguente connette la sua Stratocaster a dei moduli elettronici RSF (una celebre marca francese di synth) utilizzando un ring modulator che gli permette di creare suoni inediti e, in modo analogo a quanto messo a punto da Steve Reich, utilizza un sistema in loop con due registratori a bobina Revox. Un esempio tangibile di come operasse con questo apparato, che gli permetteva di esibirsi dal vivo completamente da solo, si può ascoltare nel brano “Alice”, registrato nel Dicembre 1976 e rimasto inedito fino alla sua pubblicazione nella compilation “Musiques électroniques en France 1974-1984”. Per il suo secondo album, quello di cui ci occupiamo in questa recensione, Vertø, già membro della rete no profit Tartempion, ricorre alla “Fléau”, etichetta privata legata allo studio Tangara che gestisce con i Potemkine. L’ospite principale è Benoît Widemann, ex dei Magma, col suo basso ed i sintetizzatori Moog e Oberheim. Fra gli altri musicisti reclutati troviamo anche il compositore e pianista Jean-Pierre Fouquey, anch’egli fuoriuscito dai Magma, Cyril Lefebvre (ex Maajun) al dobro, François Artige del gruppo folk occitano Dague alla chitarra e l’amico Gilles Goubin come autore della traccia di chiusura. L’album è incredibilmente eterogeneo e si basa su visioni musicali di diversa ispirazione, a tratti persino umoristiche, con scenari elettronici dominati da suoni di nuova sintesi ed interpretazioni che possono mettere a dura prova i nervi degli ascoltatori. Nello stesso periodo Grasset collabora con gli Etron Fou e compare nel loro album “Les Trois Fous Perdegagnent” (1978), occupandosi del mixaggio e della registrazione che avviene proprio allo studio Tangara e possiamo immaginare che questa esperienza abbia contribuito in qualche modo al risultato finale di un album tanto ostico quanto affascinante come “Reel 19 36”. “Comme la folie”, il pezzo di apertura, è forse quello di impatto più immediato, se così possiamo dire. Nasce dall’interazione di Grasset, con la sua chitarra, e di Widemann, qui in azione con basso Moog e Minimoog. I suoni sono monolitici e dominati dal basso e dalla chitarra con le loro poderose onde d’urto. Emergono elementi Magmatici e Crimsoniani in un contesto molto sperimentale. “19/36”, come specificato sulla copertina, non si avvale di alcuna tastiera ma ancora una volta del complesso sistema architettato da Grasset e descritto prima. L’apertura è affidata a sonorità cosmiche molto dilatate che possono richiamare film di fantascienza d’annata con loop che rimbalzano in modo ripetitivo e che fanno pensare a computer antiquati grossi come armadi. Queste ossessioni sonore sembrano non avere mai fine ma sono all’improvviso spazzate via, quando le nostre orecchie sono ormai allo stremo, dal fragore di una risata. “15 pour moi” è più intellegibile col suo appeal funky ed i synth che si affacciano in grande spolvero. “Dance Cabane” è la distorsione di un’aria tradizionale dello Champagne che sembra ritmata percuotendo vecchie lamiere e che si conclude con cori scoloriti e grotteschi, a dimostrare l’incredibile versatilità di un artista senza pudori creativi. Il lato B si apre con un’altra creazione priva di tastiere ma imbastita ancora una volta dalla chitarra di Grasset che si serve anche di synth RSF e di un cacciavite. Le impressioni sono quelle di un buio e freddo viaggio al centro dell’universo. La successiva “C’est loope”, disarmonica e atonale, è stata invece composta utilizzando una serie di loop registrati in modo tale che ogni musicista fosse all’oscuro di ciò che suonassero i compagni. Con “Cartine Acidule” infine, composta come già accennato da Vertø in coppia con Goubin, assistiamo invece ad una sorta di proto Zeuhl elettronico, tetro ed ossessivo, interamente elaborato dalla poliedrica chitarra di Verto e dal Moog di Widemann. Questo disco è il secondo e ultimo della breve discografia solista di Jean-Pierre Grasset e non ci resta che pensare alle possibili frontiere musicali che un artista di tale foggia avrebbe osato raggiungere se solo avesse continuato su questo cammino. La sua creatività la ritroviamo però al servizio di altre produzioni fra le quali vale la pena citare il progetto di Dominique Grimaud dei Camizole che, all’indomani dello scioglimento del suo gruppo, formò un progetto con Monique Alba denominato Vidéo-Adventure che coinvolgeva, oltre a Jean-Pierre Grasset, Guigou Chenevier (Etron Fou), Gilbert Artman (Lard Free, Urban Sax) e Cyril Lefebre. Insieme registrarono l’album “Musiques Pour Garçons et Filles” che venne pubblicato sull’etichetta di Chris Cutler nel 1981. Ma questa è però un’altra storia che speriamo di trattare prima o poi in modo dedicato.
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Jessica Attene
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