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KARAKORUM |
Fables and fairytales |
Tonzonen Records |
2019 |
GER |
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Il quintetto bavarese si trova alle prese col suo secondo album in formazione immutata… e questa è già una notazione positiva… così come immutata è la presenza di Eroc al mastering. La loro specialità pare quella di proporre lunghe composizioni dal forte sapore retrò e anche stavolta ne confezionano tre, sebbene non legate da alcun filo comune, a differenza dell’esordio. Le tracce stesse, presentate in ordine crescente di durata, sono anche abbastanza diverse stilisticamente. L’attenzione e la preferenza dell’appassionato medio di Prog si orienterà senz’altro, almeno inizialmente, sulla seconda di queste, intitolata “Smegmahood”, l’unica peraltro che veda i propri 14 minuti scarsi suddivisi in movimenti, come una suite che si rispetti. La preferenza che dovrebbe qui indirizzarsi è dovuta all’aspetto musicale della stessa, fortemente canterburyana ma anche decisamente influenzata in alcune sue parti dai Gentle Giant, non solamente per la presenza di parti cantate polifoniche, con alcune variazioni simili a certe cose RIO sul finale. Certo è che se però si leggono i testi, decisamente sopra le righe, la magia musicale va un po’ scemando. La band sembra avere una notevole passione per tutto il Prog d’annata, per le lunghe jam che mantengono costantemente un piede nella scarpa sinfonica e l’altro in quella psichedelica, con variazioni mai repentine ed atmosfere che ora si fanno ampie e melliflue, ora invece più fumose ed apparentemente sgangherate (il cantato, oltretutto, talvolta sembra voler volutamente accentuare quest’impressione) oppure melodiche o ancora con derive psichedeliche e accenni di sonorità orientali. Con tali modalità si sviluppa la composizione finale, “Fairytales”, lunga ben 23 minuti, decisamente meno immediata della succitata seconda traccia ma che cresce comunque alla distanza. I passaggi e cambi di umore non sempre sono perfettamente consequenziali e talvolta sembra che la musica zoppichi un po’ ma immagino che, così come l’album precedente, la registrazione abbia visto ben pochi accorgimenti da studio, lasciando campo libero ai musicisti di jammare senza molte sovraincisioni. Parlando invece della prima traccia (“Phrygian Youth”), la più breve, si diceva, estendendosi per soli nove minuti e mezzo, essa ha caratteristiche a tratti decisamente jazzate, altre invece, in corrispondenza delle parti cantate, più stoner. Ad ogni modo, seppur notevole in alcune sue parti strumentali, direi che si tratta del brano più debole dei tre. Questo secondo album della band di Mühldorf mi sembra che rappresenti addirittura un passo avanti rispetto al buon esordio. Se amate sonorità e ambientazioni retro Prog, nulla di meglio di dischi come questo.
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Alberto Nucci
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