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KINETIC ELEMENT The face of life Melodic Revolution Records 2019 USA

Terzo lavoro per la band Americana dei Kinetic Element, nati nel 2006 come “espressione” del tastierista Mike Visaggio allora al debutto solista. A nome del gruppo uscirono poi “Powered by Light” nel 2009 e “Travelog” nel 2015. Due buoni album, passati colpevolmente inosservati o quasi tra i progsters nostrani. Ad inizio 2019 ha visto la luce “The Face of Life”, con il nuovo cantante Saint John Coleman ed il nuovo chitarrista Peter Matuchniak ad accompagnare il nucleo storico rappresentato da Mark Tupko (al basso), Michael Murray (alla batteria) e, ovviamente, dal deus ex machina Mike Visaggio, alle tastiere.
L’album (46 minuti, uscito anche in vinile) è composto da quattro tracce: due suite di sedici e diciannove minuti poste al centro e, a far da corona, l’introduttiva “Epistle” (di circa sette minuti) e la conclusiva “Last Words” (che sfiora i quattro minuti). A dimostrazione di un certo credito che la band ha saputo costruirsi nel mondo prog Made in USA (la partecipazione a numerosi festival) segnaliamo che l’album è stato mixato a Chattanooga (Tennessee) dal duo Babb e Schendel dei Glass Hammer.
Le tastiere di Visaggio fanno spesso la voce grossa all’interno dei brani ma gli altri lo seguono con decisione ed è da segnalare in particolar modo lo splendido lavoro ritmico e solista del bassista Mark Tupko. Le “radici” sonore del gruppo sono chiare ed evidenti: la tradizione britannica dei seventies (Yes, Genesis, qualche spunto à la Gentle Giant) che si mischia con quella Usa (Kansas…) senza scordare gli influssi degli “amici” Glass Hammer. Un sound stuzzicante, che si fa ben volere e che, con buone probabilità, potrà trovare estimatori tra gli appassionati di un prog sinfonico “classico”, articolato sì, ma con una buona dose melodica. I due pezzi forti sono le suite: “All Open Eyes” e la title track. La prima inizia in modo corale, tra Yes e Gigante Gentile, seguita da una convincente parte centrale strumentale cui si accoda il piano prima dell’inizio del cantato. Altre digressioni strumentali con synth ed elettrica ben sostenute dalla sezione ritmica, prima di un nuovo “stop” più d’atmosfera. Torna Coleman, con una interpretazione più squillante, Matuchniak dà libero sfogo alla sua chitarra, Tupko imperversa al basso e Visaggio non è da meno con le sue numerose keyboards. Ottimo pezzo. Meglio ancora la title track, “The face of life”. Lunga e malinconica introduzione strumentale, dapprima per solo piano a cui poi si aggiungono la chitarra e le altre tastiere di Visaggio. Il brano sale di quota ancor prima del cantato di Coleman e, fino alla sua conclusione, vive di umori ed atmosfere differenti sempre all’insegna di grandi melodie dal gusto sinfonico. Siamo sempre nell’ambito Yes/Glass Hammer con apprezzati inserti corali, ritmica fantasiosa e di qualità. Forse troppa carne al fuoco per entrambi i brani, ma i pregi superano di gran lunga i difetti. Facciamo un passo indietro,ora. L’album si era aperto con “Epistle”, brano frizzante con melodie sviluppate con facilità, e va a chiudersi con “Last words”, malinconico, con tanto di archi ad arricchirne l’atmosfera.
“The Face of Life” è, quindi, un gradevole lavoro con musica spigliata, dal buon “punch”, senza pretese di originalità a tutti i costi e che ci permette di passare tre quarti d’ora in piacevole compagnia. Ed è, anche questo, che si chiede alla musica.



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Valentino Butti

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