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MOON LETTERS Until they feel the sun autoprod. 2019 USA

Nati dall’unione di membri di alcune band della zona di Seattle, I Moon Letters pubblicano il loro primo album dal titolo “Until They Feel the Sun”. Si tratta di un lavoro a tema, composto da dieci brani, ispirato alle Selkie, creature mitologiche, le cui storie sono molto diffuse nelle isole scozzesi ed in Irlanda. Line up classica a cinque elementi che annovera John Allday (tastiere, voce e tromba), Mike Murphy (basso, voce e tromba), Kelly Mines (batteria), Michael Trew (voce e flauto) e Dave Webb (chitarre). Brani che non raggiungono mai lunghezze eccessive (“Sea battle”, la più lunga, è di “appena” nove minuti), ma che riescono a mettere in evidenza tutte le peculiarità espressive della band che, con pochi ammiccamenti al passato, fornisce un ottimo esempio di eclettismo tra melodia, tecnicismi, venature heavy, contorsioni strumentali, colori smaltati, tinte pastello, momenti corali… Si passa, dunque, dalla graffiante e dura “Skara Brae”, alla “gentlegiantiana” “What is your country” passando per le soluzioni melodiche di “On the shoreline” con tanto di flauto. In “Beware the Finman” tornano i “riffoni” di chitarra e le “sventagliate di synth per un brano (tra i più lunghi, sfiorando gli otto minuti…) avvincente dall’inizio alla fine. Di ottimo respiro anche “Sea battle” il brano più complesso della raccolta: trame articolate, sprazzi heavy, ma il cambio d’umore è lì dietro l’angolo a sorprenderci. Pregevole anche “The tarnalin” che inizia in modo soft per poi salire di complessità e con interventi della tromba a conferire un pizzico di ulteriore originalità. Un po’ di respiro -finalmente- con la brevissima “It’s all round you” per voce e chitarra acustica che precede le due tracce finali, e tra le più significative, dell’album. “The red knight” aggressiva ed effervescente sulla scia dei migliori Kansas e “Sunset of man” dall’inizio sognante con tastiere delicate e flauto ad accompagnare il cantato di Michael Trew. Viene poi ripreso il tema portante di “Skara Brae” seguito da preziosismi di tastiere e qualche intervento convincente della chitarra di Webb. Un esordio davvero con i fiocchi per i cinque ragazzi di Seattle che dimostrano, ce ne fosse ancora bisogno, che gli americani il prog lo sanno fare… eccome. Consigliatissimo.



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Valentino Butti

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