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VAK |
Budo |
Soleil Zeuhl |
2018 |
FRA |
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Avevamo i conosciuto i Vak nel 2015 con “Aedividea”, un cd che raccoglieva due EP autoprodotti e che mostravano l’indirizzo zeuhl di questa band. Se già le composizioni presenti in quel lavoro sembravano molto convincenti, l’appassionato del genere inventato dai Magma troverà un prodotto ancora più saporito in “Budo”, che può essere considerato il vero e proprio esordio discografico dei transalpini. Con una line-up assestata che vede al fianco di Vladimir Mejstelman (batteria) e Aurélie Saintecroix (voce), membri da cui è partito tutto, il bassista/chitarrista Joel Crouzet e il tastierista Alexandre Michaan (più ospiti a chitarra e fiati), i Vak propongono tre brani di lungo respiro e di altissima qualità. Si parte con la title-track, di oltre ventisette minuti, che inizia con forti caratteristiche zeuhl: ritmi spediti, con giro di basso veloce e potente e la batteria agile a seguire. I fraseggi delle tastiere fanno il resto, con temi reiterati di poche note. Nemmeno due minuti ed ecco i vocalizzi di Aurélie a completare il discorso. Proprio quest’ultima dà quel tocco di classe che aiuta a personalizzare un po’ le cose, mostrando immediatamente una certa energia, ma capace anche, come ascolteremo in seguito, di farsi più conturbante nei momenti più rilassati. In questa lunga composizione ascoltiamo un continuo fluire musicale, fatto di rallentamenti e improvvise accelerazioni che diventano vere e proprie cavalcate veementi. Le lezioni dei Magma sono ben apprese e i musicisti provano a variare qualcosa spingendo sul tasto della potenza (in questi casi viene più in mente il progetto “Infernal Machina” di Jannick Top) ed in altre occasioni indirizzandosi di più su atmosfere oniriche. Davvero ottimo il lavoro di tastiere, che, con timbri diversi ed i dialoghi con un sax in alcuni momenti frenetici, diventano fondamentali nell’evitare qualsiasi tipo di stanchezza mentre passano i minuti. Alla fine di questa prima traccia nemmeno il tempo di respirare e si parte con un altro tour de force rappresentato dai ventitré minuti di “Hquark”, suddivisa in cinque parti e aperta da suoni cupi e minacciosi che saranno caratteristica importante di questa che diventa la composizione più “dark” dell’album. Con un’alternanza tra il mood dimesso e ipnotico di “Kohntarkosz” e slanci più violenti che portano in sentieri cari agli Eskaton, tra tempi dispari e acrobazie vocali e ritmiche, anche in questa occasione i Vak riescono a mantenere vivissima l’attenzione dell’ascoltatore nonostante la lunghissima durata del pezzo. “Au fond des creuses” porta a conclusione “Budo” con otto minuti che non spostano di una virgola il discorso musicale, abbellendolo con interessanti innesti di chitarra e flauto. Avevano già destato sensazioni positive con “Aedividea”, ma con questo disco i Vak si sono decisamente superati, sfornando uno degli album più interessanti degli ultimi anni in ambito zeuhl. Chi ama il genere è avvisato.
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Peppe Di Spirito
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