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CASINO DI TERRA Cosa potrebbe accadere Aut Records 2019 ITA

Quando ho letto il nome di questo ensemble mi si è accesa una vaga lampadina nel cervello… Solo più tardi mi sono ricordato di aver incrociato alcune volte una località Casino Di Terra lungo la tortuosa strada che da San Gimignano giunge prima a Volterra e poi a Cecina. Ho immaginato quindi che l’ensemble stesso fosse originario della Val di Cecina o qualche zona limitrofa ma, leggendo le note biografiche, vedo che la scelta del nome, che in effetti si riferisce proprio al gruppetto di case cui accennavo sopra, “allude a un'organizzazione razionale e terrena della materia sonora, nella quale il fulcro è l'improvvisazione”. Non riesco tuttora a capire il nesso tra le due cose, ma ne prendo atto.
I Casino Di Terra in realtà sono un gruppo bolognese, guidato dalle stralunate ed energiche composizioni del sassofonista (sax tenore) Edoardo Marraffa, musicista d’esperienza con un curriculum di collaborazioni degno di rispetto, accompagnato in questa avventura dal basso di Sergio Papajanni e dalla batteria di Gaetano Di Giacinto. Accanto a loro in questo secondo album, che giunge a 4 anni di distanza dall’esordio (“Ori”), ci sono anche i contributi in alcune singole tracce di Fabrizio Puglisi ed il suo Arp Odissey, del violino elettrico di Valeria Sturba e del piano elettrico di Stefano De Bonis.
Le 8 composizioni in cui si struttura quest’album aggrediscono l’ascoltatore fin dalla traccia di apertura con un bombardamento di note che risiedono in un ambito free jazz ma con un groove potente, scambi ed intrecci strumentali vigorosi, ritmiche ipnotiche e metriche bizzarre. Tutto si muove sotto la guida del sax, perennemente in primo piano e realmente instancabile, che guida l’avanzata e ne detta il passo. I brani sono prevalentemente improvvisati: benché tutti costruiti su una composizione, i musicisti si lanciano ben presto in avventurose divagazioni ed escursioni che ci fanno costantemente chiedere cosa possa realmente accadere nello sviluppo di ognuno di essi… se il pezzo si svilupperà su un lungo monologo del sax o se qualcuno degli altri strumenti si lancerà ad insidiarne la supremazia o ancora se ci saranno deviazioni rock ad agitare ancora di più le acque. Bello è ad esempio il ruolo del violino elettrico in un paio di tracce ed anche il contributo del Fender Rhodes nella lunga “Ma te ne sai di più”, ove pare entrare in punta di piedi salvo prendere progressivamente sempre più confidenza e guadagnarsi il proscenio… fino a quando il sax torna a riprendersi il ruolo che è suo.
L’album insomma scorre via piuttosto fluidamente, nonostante i mille inciampi che i musicisti volutamente e maliziosamente posizionano lungo il percorso, lasciandosi comunque ascoltare in modo abbastanza piacevole benché, ovviamente, un po’ impegnativo.



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Alberto Nucci

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