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ISSUN Dark green glow autoprod. 2019 GER

La giovane band tedesca autoproduce anche il suo secondo album (il primo omonimo, concepito nel 2015, è stato poi rieditato anch’esso nel 2019), in questo caso un concept orrorifico basato sulle paure che si celano dietro una foresta. Ritorno sicuramente più completo e coeso rispetto all’esordio, anche se si permane sulla vena melodica delle origini. È indubbio che la matrice pop-rock a stelle e strisce qui risulti maggiormente irrobustita da iniezioni prog-metal, anche se i riferimenti non sono certo i Dream Theater; l’opener “Think I’ll Stay In Bed Today”, per dire, potrebbe essere l’introduzione di un brano in stile Robin Williams. Il quartetto di Hannover è formato da Tobias Schröder (voce, tastiere e percussioni), Marc Andrejkovits (basso), Markus Ottenberg (chitarra) e Simon Schröder (batteria), ma sul loro bandcamp si legge chiaramente che tutte le parti di chitarra sono opera di Martin Schnella, peraltro ingegnere del suono ed artefice del missaggio. Sarebbero molti i punti oscuri che varrebbe la pena di chiarire, a cominciare dal concept vero e proprio, i cui testi non sono disponibili (almeno non sulla copia presa in esame), così come non è dato per il momento conoscere i vari passaggi della storia. Presumibilmente, si parla di una ragazzina che vive le sue paure dentro a un letto, mentre la foresta incombe là fuori. Musicalmente, la prima parte suona decisamente più solare (nonostante i titoli), soprattutto con “Lost Generation”, probabilmente la migliore del lotto, ben scandita dal basso. Ma anche le seguenti “Falling Away” e “Sleep In The Forest” proseguono sulla medesima scia, somigliando a tratti ai Journey e con alcuni passaggi solenni in stile concept dei Savatage che si alternano ad altri decisamente più easy. Non si può certo dire che i nostri si concedano a delle acrobazie strumentali tipiche del genere; più che altro ci si affida all’ottima voce di Tobias, capace di raggiungere vette molto acute senza comunque strafare. Anche a livello ritmico i ragazzi dimostrano di saperci fare, special modo quando occorre alzare il tiro.
Passando poi alla parte più oscura, resa molto bene dall’inquietante figura che si aggira sul retro della copertina digipack, “Tempest Of Laughter” parte come un graduale spartiacque tra le due sezioni, divenendo sicuramente la traccia più prog, sfruttando i suoni della natura e persino qualche vago riferimento floydiano nella parte strumentale. Il problema è che diciassette minuti sono tanti e a un certo punto l’andamento è troppo uniforme, portando ad una certa monotonia. “Twilight Forest” e la title-track sono sicuramente più cupe, con passaggi heavy. Dopo l’intermezzo “ambientale” di “Jessica”, “Remember Me” si rimette in carreggiata e la conclusiva “Even” fa chiaramente riferimento alla musica dei Toto.
Nonostante tutto, l’album è scivolato via abbastanza velocemente. Un aspetto che può denotare sia pro che contro, vale a dire la doppia faccia di una stessa medaglia. Da un lato molto fruibile, dall’altro un po’ superficiale. Non vuol essere una stroncatura, ma sicuramente i quattro musicisti tedeschi hanno bisogno di assestarsi definitivamente e crescere ancora un po’, per sviluppare quelle che sembrano essere delle idee abbastanza godibili.



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Michele Merenda

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