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FALL OF EPISTEME |
Fall of episteme |
autoprod. |
2019 |
DAN |
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C’è del prog anche in Danimarca… Si, perché i Fall Of Episteme (FoE) si formano nel 2015 proprio in Danimarca su iniziativa del bassista Søren Foged a cui si unirono il batterista Rune B. Eskildsen, il chitarrista Kent B. Eskildsen ed il cantante Rune M. Nielsen. Alcuni di loro provenivano da un’altra prog band, gli Atlantis, attiva già negli anni ’80, pur senza pubblicare mai un album. E’ stato quasi automatico utilizzare (rivisitandole) alcune delle vecchie composizioni (cui se ne sono aggiunte altre) degli Atlantis per integrare il repertorio dei FoE. Dopo l’uscita dal gruppo di Foged, la line up della band si è completata con Jan Juel al basso e Flemming Kragh Pedersen alle tastiere. Lontano dalle malinconiche atmosfere di molte band svedesi o norvegesi, il sound dei FoE è invece solare, melodico, arioso, più vicino, dunque, al new prog anglosassone con qualche incursione - minima invero - nel metal (trend di molte band di oggi) e nell’AOR. Il risultato, per gli amanti del genere, è soddisfacente ed i sei brani, per un’ora circa di durata complessiva, si ascoltano con piacere. In sintesi, i riferimenti dei cinque danesi sono i Floyd gilmouriani, i Pendragon delle origini, gli Jadis, i Collage polacchi ed altri ancora. I due brani più intriganti sono la lunga “Experience oblige” e la suite “Invisible crusader”. La prima si apre con le delicate note del piano che ci cullano assecondando la voce di Nielsen nella prima strofa. Si aggiungono i poderosi synth di Pedersen a formare un tappeto sonoro costante su cui si posa una ritmica discreta e mai debordante. L’interpretazione sofferta del vocalist ben si sposa con l’atmosfera del brano che prende quota con un refrain convincente. Non mancano i ficcanti interventi dell’elettrica di Eskildsen dal buon gusto melodico. Insomma, senza strafare, il pezzo confezionato è decisamente di livello. Ancora meglio “Invisible crusader”, un vero trionfo di tastiere vigorose, dinamiche complesse, ma, al tempo stesso fruibili e con ritornelli subito memorizzabili. Delle quattro composizioni rimanenti, tre superano gli otto minuti (“Love will stay”, “Accelerator” e “Punchline”) e seguono gli input forniti dai due brani più lunghi: un bel punch, buone melodie orecchiabili, qualche spruzzata radio-friendly, chitarre romantiche e tastiere scintillanti. Insomma, un sound gustoso per gli amanti del new prog di qualità. Chiude quest’album d’esordio “Guiding star”, quasi sei minuti, dall’incedere più pacato (a parte il finale…) e da “accendino acceso”… Non male comunque. Ogni anno escono decine e decine di lavori new prog… Belli, brutti, mediocri, anonimi… L’esordio della band danese rientra senz’altro nella prima tipologia… anche se senza novità o scossoni… ma va bene anche così talvolta.
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Valentino Butti
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