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MYTHOLOGY The castle of crossed destinies Black Widow Records 2020 SVI

Questo cd si apre con un sound ruvido e sporco, che rimanda agli anni ’70, con riff scanditi da lunghe note di chitarra, ritmi pesanti e quel mellotron a volte in lontananza e a volte in primo piano a stemperare un po’ le cose. La title-track parte con queste atmosfere dark e acide, accentuate da una voce profonda e con i Black Sabbath nel mirino. Gli svizzeri Mythology sembrano prendere ad esempio la band di Tony Iommi, ma partendo dall’hard rock storico, elaborano un processo di contaminazione molto interessante e infarciscono la loro musica anche di psicheledia e progressive rock.
Non si sa molto su questo gruppo che ama ammantarsi in un alone di mistero, con l’artwork che rimanda al medioevo e ai tarocchi e con i componenti che si celano dietro pseudonimi stravaganti: Chad Samoth, Aghos Sade, Lady Sif, Agon Dasha, Dan Moses, Santo Asteda, Dana Shettom. Non è dato di sapere nemmeno quando il disco sia stato registrato… Il titolo dell’album e del primo brano prendono spunto dal romanzo breve “Il Castello dei destini incrociati” di Italo Calvino e per i tre quarti d’ora dell’opera si avverte un’aura fiabesca in nero che è parte importante del fascino che emana la musica.
Sono tante le carte che si giocano i Mythology. Prendiamo la seconda traccia “Missed chances” (probabilmente il top del disco): una lunga cavalcata che parte con vocalizzi femminili seducenti, passa a sonorità hard-psych, ma che poi si sviluppa con grande libertà e quando il sax prende splendidamente il sopravvento sembra quasi di ascoltare una jam-session dove rock e jazz si incontrano, mentre il finale diventa molto epico. “The Moon” ha timbriche bizzarre ed un indirizzo medievaleggiante, anche se il crescendo porta qualche spigolo. “Now I’m blind”, facendo incrociare doom e passaggi sacrali di tastiere (e per questi ultimi avvertiamo vaghi echi vandergraafiani), potrebbe far venire in mente i Malombra, altri protagonisti dell’oscurità lanciati negli anni ’90 dalla stessa scuderia che sta credendo nei Mythology, la Black Widow. Negli undici minuti di “The emperor” il prog diventa l’elemento principale, con un rock sinfonico che però non dà sicurezze, non prende riferimenti ben precisi e si ritrova a filtrare con il solito doom sabbathiano quando la chitarra va in primo piano. Tra l’altro, in questa occasione, il canto di Athos Sade si fa ancora più teatrale ed enfatico e lo stesso dicasi per il supporto di Lady Sif impegnata nel ruolo di backing vocalist. Siamo ai limiti del kitsch, soprattutto quando il refrain “The emperor is dead” viene declamato in continuazione, eppure tutto funziona! “Don’t be afraid” è un gran finale dove possiamo intravedere Atomic Rooster, Black Widow, Hawkwind e Pink Floyd, tra tratti hard, indirizzi a tinte fosche e “schiarite” che erano difficili da prevedere.
I Mythology debuttano con un lavoro strano e intrigante, forse pretenzioso e a tratti imperfetto (le parti vocali sono da rivedere), ma che cresce ad ogni ascolto, emana un fascino arcano ed ispira una naturale propensione a farsi apprezzare con facilità.



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Peppe Di Spirito

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