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I AM THE MANIC WHALE Things unseen autoprod. 2020 UK

Si sta progressivamente consolidando la reputazione di questa band fondata a Reading nel 2015 e giunta già al suo terzo album (più un live); un ruolino di marcia che con i ritmi attuali appare quasi frenetico. Se il primo album era in pratica un lavoro solista di Michael Whiteman (il nome del progetto è l’anagramma quasi esatto del suo nome e cognome), con il resto della band aggregatosi per suonare le sue canzoni, già il secondo era il frutto del lavoro di una band vera e propria, sebbene Whiteman continui comunque ad essere il principale compositore. Con questo terzo lavoro la ricerca dell’equilibrio e di un maggior affiatamento tra i musicisti compie un ulteriore balzo in avanti. La band cerca di proseguire il suo cammino per rafforzare la propria personalità, ma bisogna dire che l’originalità non sia esattamente di casa da queste parti. La musica che possiamo ascoltare su “Things Unseen” in effetti è agevolmente posizionabile all’incrocio tra Spock’s Beard, Flower Kings (o Transatlantic che dir si voglia) e Big Big Train, con tanti altri nomi che vengono via via alla mente mano a mano che la musica fluisce, con la vena melodica e scorrevole che si intreccia e si alterna di continuo con soluzioni più energiche e ritmate.
Le 8 canzoni di quest’album si avvalgono, oltre ai quattro della band, di un nugolo di ospiti, ai fiati e agli archi, ancor più ampio che in passato. Su di esse spiccano senz’altro, quanto meno visivamente, i 19 minuti di “Celebrity”, situata in posizione centrale, mentre le altre sono piuttosto limitate ed omogenee in quanto a durate. Gli album precedenti sembravano osare di più in effetti (non è solo una questione di durate, ovviamente) mentre qui ascoltiamo un compitino ben svolto e pure moderatamente piacevole, sicuramente ben confezionato, più rifinito e professionale rispetto ai predecessori. Il risultato qualitativo però mi lascia un po’ deluso, anche tralasciando la questione legata all’originalità (che non c’è mai stata, ma può anche non essere un problema).
Non che manchino momenti interessanti all’interno dei brani, a cominciare dalle due tracce iniziali (“Billionaire” e “The Deplorable Word”, dalle interessanti variazioni jazzate), proseguendo per gli inserti bizzarri di “Build It Up Again”, le melodie delicate di “Halcyon Day” ed il finale trascinante di “Valenta Scream”. Niente di importante da dire invece sulla lunga “Celebrity”, la quale si estende senza particolari sussulti, sebbene in modo abbastanza gradevole.
Un album che, in sostanza, mi ha lasciato parzialmente deluso: ben rifinito, suonato e arrangiato, ed anche con preziosi intarsi qua e là, ma anche un album che in fondo è piuttosto tendente all’anonimato, con pochi sussulti.



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Alberto Nucci

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