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MAGIK SATURN Moon water autoprod. 2020 USA

Non amo la musica in formato “liquido”, essendo nato col vinile e poi virato sul meno ingombrante cd. Ne riconosco però l’utilità che ci permette di conoscere e magari apprezzare realtà altrimenti sconosciute. Inoltre consente immediatamente di valutare la qualità di un prodotto ed acquisire il supporto fisico, se previsto. Nel caso degli statunitensi (di New Orleans) Magik Saturn purtroppo dobbiamo accontentarci della sola “bandcamp”, non essendo previsto, ad oggi, nessuna stampa in vinile o in cd di “Moon water”, il loro album d’esordio.
La proposta della band si articola in otto brani (solo il primo sfiora i dieci minuti, gli altri molto più brevi), per quaranta minuti di durata complessiva. La prima traccia, “Indecisively”, ci fa subito sussultare: dopo una lunga introduzione d’atmosfera che supera i quattro minuti, una esplosione di note, di colori, di impasti vocali, di soluzioni rimiche che rimandano agli Starcastle (più che agli Yes…) ed in minor misura ai Gentle Giant. Insomma, un inizio spettacolare e più che promettente. “Grease fighter”, appena tre minuti, è un po’ un divertissement à la Emerson con, in aggiunta, una tagliente chitarra elettrica. Con “Autumn wind part 1” si svolta ancora: introduzione “pop” (sui generis…) poi ancora qualche aggancio al Gigante Gentile ed una articolata sezione strumentale che alza e parecchio, le quotazioni del brano.
Non so cosa sia accaduto con “Mars”, la traccia seguente. La qualità della registrazione è molto bassa quasi scarsa, tanto che si possono solo intuire le dinamiche che intercorrono tra le tastiere e la chitarra che accompagnano il cantato. Veramente inspiegabile.
Si riparte con “Autumn wind part 2” con il piano in evidenza e belle armonie vocali. Una bordata di synth “incendia” il brano accompagnato da una ritmica articolata. Al piano, ancora, è affidata la chiusura. Ancora il piano e voci delicate delineano “Keep on keeping”, soft song comunque piacevole. Un arpeggio di chitarra apre “Turning blue” con un tappeto di tastiere che asseconda la sei corde, sempre molto delicata, lungo tutta la durata della composizione. Con “Tree fingers”, dopo una sezione introduttiva bucolica, ci si inoltra in territori più rock, con ritmi incalzanti, duetti tastiere/chitarra elettrica ed incastri vocali sempre di qualità. La chiusura del pezzo ci pare, per contro, un poco affrettata.
Certamente “l’inciampo” (chiamiamolo così…) di “Mars” influisce sul giudizio finale che comunque rimane ampiamente positivo con la band che pare, per qualità, sopra la media e che conferma che la “scuola” statunitense del sottobosco prog è comunque sempre vivace.



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Valentino Butti

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