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SYNTHAGMA PROJECT |
Onirica |
Radici Music |
2019 |
ITA |
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Nel presentarmi il suo nuovo progetto Cesare Guasconi (ghironda, kantele, harmonium, flauto indiano, loop machine) mi aveva preannunciato che si trattava di qualcosa di diverso rispetto agli InChanto che già conoscevo. Sicuramente e grossolanamente la veste prevalentemente acustica del gruppo madre e quella più elettrica (soprattutto grazie all’arrivo delle chitarre) ed elettronica dei nuovi arrivati contribuiscono a demarcare certi confini. Ma se lasciamo stare pesi e misure e ci lasciamo trasportare semplicemente dalle emozioni e dalla potenza della musica scopriremo una Weltanschauung comune: visioni, fonti di ispirazione, modi di sentire e di vivere la musica si nutrono di un comune retroterra che va oltre i singoli dettagli. Tralasciando la filosofia in cerca di coordinate più precise, va subito detto che i musicisti coinvolti sono soltanto tre e comprendono, oltre ovviamente a Cesare Guasconi, Michela Scarpini, con la sua voce bellissima e assai caratterizzante (alle prese anche con campana tibetana, tammorra, sea drum, chime bells e flauto di pan), e Daniele Nutarelli (chitarre elettriche ed acustiche, e bow e loop machine). Già da questo assetto intuirete la fisionomia essenziale di forme musicali che rappresentano il substrato ideale per entrare in profonda comunicazione con sé stessi. Riferimenti colti, motivi tradizionali, richiami alla musica antica e colorazioni folk rientrano ancora fra gli ingredienti fondamentali ma ogni elemento è come diluito e sublimato, facendo sì che le nuove composizioni assumano delle sembianze oniriche ed eteree. L’album scaturisce da una lunga gestazione ed è giunto a maturazione sia attraverso sedute in studio che eventi dal vivo e ciò contribuisce senz’altro a dargli una gradevole prospettiva d’insieme. Soprattutto i pezzi che hanno dei riferimenti precisi alla tradizione mi ricordano molto l’approccio dei francesi Malicorne, anche loro artefici di una sintesi elegante fra passato ed innovazione. Mi riferisco in particolare a “Tempus est jucundum”, tratto dal celebre corpus di testi poetici medievali noto come ”Carmina Burana”, che con la sua ghironda ronzante, le melodie cicliche e qualche punta di colore sinfonico, ci riporta puntualmente all’universo dei fratelli Yacoub, e a “Voi ch’amate lo Criatore” il cui testo è tratto dal “Laudario di Cortona”, manoscritto della seconda metà del XIII secolo conservato a Cortona che rappresenta la più antica collezione conosciuta di musica italiana in lingua volgare. Di ispirazione molto affine a queste tracce è “Rota temporis”, il cui testo è tratto ancora una volta dai “Carmina Burana”, anche se si tratta in questo caso di un brano originale. L’ultimo pezzo tradizionale, sebbene appartenga ad un contesto culturale e geografico più distante dal nostro, è l’affascinante e lunare “Jesous Ahatonhia”, canto natalizio degli Uroni, popolazione indigena nordamericana. Quella che è considerata come la più antica canzone natalizia composta nel continente americano (siamo nel Seicento) viene riproposta in una veste mistica dai connotati quasi new age. Anche per i bellissimi intrecci vocali, ipnotici ed ascetici, questo brano mi ricorda gli Iona, pur se in un contesto molto diverso. Questo album è in realtà molto variegato con testi elaborati in lingue diverse e di diversa ispirazione. Passiamo quindi dal latino di “Regina Tenebris”, traccia di apertura che ci offre forse una sintesi perfetta della poetica di questa band, sospesa fra visioni elettroniche e fragranze antiche, all’inglese di “An Outlandish Lullaby”, dalle speziature psichedeliche. Le trame ritmiche sono spesso appena delineate, dando così l’idea di ambientazioni musicali di ampio respiro, come avviene in particolare nella piccola suite strumentale “Eclipse”, dalle atmosfere astratte e meditative, illuminate da una scintillante chitarra acustica e dal canto senza parole, quasi sciamanico, di Michela Scarpini. Il breve testo di “Rising Sun” appartiene invece a Shakespeare ed è tratto da un sonetto d’amore: l’immagine del sole nascente nascosto dalle nuvole si materializza fra le note distese di questa sorta di colonna sonora dalle melodie aperte. Pochi elementi ci restituiscono una visione luminosa e rasserenante in cui sensazioni e atmosfere rimangono l’elemento centrale. A questo punto manca a questa rapida disamina il pezzo più breve e cioè “Fragments”, uno strumentale che rappresenta un piccolo saggio di quanto potrete ascoltare più ampiamente in questo album e che non a caso è stato scelto per la realizzazione di videoclip. Si tratta di un album ricco di suggestioni e di riferimenti colti, più di quanto non appaia ad un primissimo contatto, ma la profondità di questo materiale viene sublimata da una scrittura leggera e poetica capace di arrivare all’anima di chi ascolta. Una postilla che riguarda il nome della band, anch’esso molto particolare e colto e che viene dal “Syntagma musicum” di Michael Praetorius, opera in tre volumi pubblicata fra il 1614 e il 1619, che rappresenta una delle fonti principali per lo studio delle prassi esecutive nella musica del primo barocco.
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Jessica Attene
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