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THE IKAN METHOD |
Blue Sun |
Ma.Ra.Cash Records |
2020 |
ITA |
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Questo nuovo Gruppo Prog si è formato su iniziativa di Luca Grosso, batterista (e tastierista) di esperienza e già collaboratore (limitandoci all’ambito Prog) di The Rome Pro(g)ject, Narrow Pass, Beggar’s Farm e Projecto. Accanto a lui ci sono il chitarrista Marcello Chiaraluce, col quale ha già collaborato a lungo, il bassista Fabio Zunino (anch’egli ex dei Projecto) e il cantante Davide Garbarino (già con Grosso nella band power metal Mindlight). Qual è stato quindi lo scopo di quest’unione di musicisti con i loro notevoli bagagli di esperienza? Quello di dar vita a un album ispirato al New Prog degli anni ’80 e ’90, con particolare riguardo per Marillion, IQ e Arena. Questo dovrebbe già incuriosire più di un potenziale ascoltatore, dato che tutto sommato non sono molte le band italiane che hanno deciso di trarre riferimento da questo genere di sonorità. In queste 9 tracce, per una durata totale che arriva a sfiorare i 60 minuti, l’intento del gruppo salta decisamente ed immediatamente all’orecchio, in effetti, a partire dell’avvio di “The Great Opening” (!) in cui ci rendiamo conto che il cantante, al di là del suo rapporto con Grosso, non è stato scelto casualmente, vista la somiglianza della sua timbrica vocale con quella di Peter Nicholls. Molti sono comunque i momenti strumentali dell’album (circa metà delle tracce addirittura) e quindi la voce è tutto fuorché onnipresente. Il buon brano d’apertura sopra accennato è certamente un ottimo biglietto da visita ma senz’altro la canzone più accattivante e dalle maggiori attrattive mi sembra proprio quella situata nell’esatta posizione centrale, nonché la più lunga (9 minuti), ovvero “The Storm”, introdotta da un flauto e intrisa di atmosfere che rimandano agli IQ in maniera quasi spudorata, così come il cantato si spinge in questo caso a richiamare lo stile Nicholls quasi ai limiti del plagio. Fortunatamente nella comunque buona traccia successiva (“Golden Cage”) la sua anima metal torna prepotentemente in primo piano a rimuovere, almeno per il momento, eccessivi riferimenti stilistici. Notevoli sono anche brani come “The Journey” e “The Long Way To Madness”, entrambi strumentali, giocati su atmosfere quasi magiche e misteriose, riff che si rincorrono e assoli di chitarra che giungono puntuali come un treno (giapponese, però). Molto piacevole la traccia conclusiva “Changes” in cui Peter Nicholls torna a salutarci in un brano dalle sonorità più morbide e invitanti. Due parole vanno dette anche sull’ottima produzione e sulla evidente professionalità dei musicisti che riescono a confezionare un prodotto discografico che, seppur chiaramente derivativo, riesce a farsi ascoltare senza sforzo e a supportare adeguatamente le loro intenzioni musicali. Le sonorità rimandano abbastanza al periodo storico preso a riferimento, tanto che a momenti torna alla memoria addirittura qualcosa del gruppo New Prog romano che proprio a cavallo di quei due decenni sfornò i suoi due album migliori, ovvero i Leviathan.
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Alberto Nucci
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