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DAVID MINASIAN |
The sound of dreams |
Golden Robot Records |
2020 |
USA |
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In termini assoluti David Minasian è famoso come produttore di film e di programmi televisivi e ha curato persino un paio di DVD dei Camel, i suoi idoli musicali. Lo stesso Andrew Latimer, in segno di amicizia, ha suonato la chitarra nel brano di apertura di “Randon Acts of Beauty”, il precedente disco solista vecchio ormai di dieci anni. Da quell’album, ben realizzato, traspariva limpidamente il suo amore per il gruppo inglese di cui venivano catturati alcuni tratti distintivi. David, multi strumentista e pianista con educazione classica, aveva fatto quasi tutto da solo, con l’aiuto del figlio Justin alle chitarre e di pochi ospiti, ottenendo un ottimo risultato di cui in molti hanno atteso per lungo tempo un seguito. Ed eccolo quindi tornare assieme al figlio con un nuovo album (il quarto da solista se mettiamo nel computo anche “It’s not too Late” uscito nel 1996 a nome Minasian & Drews) che vede la partecipazione di numerosi ospiti eccelsi che non è superfluo elencare: Justin Hayward dei The Moody Blues (voce, chitarra e tastiere), Steve Hackett alla chitarra, Annie Haslam alla voce, Billy Sherwood al basso, PJ Olsson (The Alan Parsons Live Project) alla voce, Julie Ragins (The Moody Blues Live) alla voce, Geof O'Keefe dei Pentagram alla batteria e alla chitarra e Kerry Chicoine dei Mars Hollow al basso. Ovviamente non tutti gli ospiti si esibiscono negli stessi brani ma i loro interventi sono limitati solo ad alcune delle 12 tracce che compongono questo lavoro. Dieci anni fa auspicavo l’intervento di una band più strutturata per dare completezza ad un’opera in ogni modo ben fatta e di piacevole impatto. Direi che grazie ai tanti ospiti il nuovo album, pur conservando dei concreti legami stilistici col vecchio, ne risulta piacevolmente arricchito. Non è di David, che canta comunque nella maggioranza dei pezzi, la voce solista che sentiamo nella tracia di apertura, “The Wind of Heaven”, ma di Justin Hayward con le sue tonalità vellutate che ravvivano un brano in stile AOR incredibilmente lineare. Minasian entra in scena come cantante solista nella successiva “All In” con la sua timbrica piacevole e pacata, seppure incapace di grosse escursioni. Il brano ci mostra come David sia un maestro nel disegnare brani di grande atmosfera, alleggeriti da momenti tastieristici distesi e piacevolmente sinfonici con riferimenti puntuali verso Camel e Genesis. In particolare è molto bello il lungo assolo di chitarra elettrica che si staglia limpido su una soffice coltre Mellotronica. Ma il momento centrale dell’album è sicuramente rappresentato dalla suite “The Sound of Dreams”, organizzata in tre tracce distinte. La prima, interpretata da Annie Haslam, coautrice del brano, è sognante e di grande atmosfera, con tappeti tastieristici ovattati; la seconda è uno strumentale dinamico con contrasti più accentuati e si avvale del contributo di Billy Sherwood. L’ultimo movimento, ancora strumentale, riluce per l’apporto chitarristico inconfondibile di Steve Hackett che finisce col dominare sugli altri strumenti. Su “Room With Dark Corners” possiamo ascoltare la voce cristallina di Julie Ragins ad interpretare un brano cantabile ed arioso, semplice nel suo disegno complessivo ma potente nelle sue melodie, mentre a PJ Olsson viene affidata “So Far From Home”, altro pezzo dall’appeal AOR in cui gli elementi tastieristici forniscono un prezioso sfondo. “Twin Flames At Twilight” è il brano più lungo dell’album con i suoi 13 minuti. L’interpretazione vocale di Minasian non è sconvolgente ma ha un certo sapore Beatlesiano che risulta di impatto gradevole. Il brano racchiude una digressione strumentale centrale rafforzata da chitarre elettriche dai riff sostenuti, che dà un positivo effetto di stacco. Vi è ampio spazio per assoli tecnici che mettono in risalto il fraseggio fluido di Justin, molto cresciuto in tecnica e stile dal precedente lavoro. “The Wind Of Heaven (Epilogue)” chiude ad anello questo album piuttosto lungo (oltre un’ora di durata) recuperando il tema melodico del pezzo di apertura. Il brano, interpretato questa volta dalla Haslam, conserva la sua struttura semplice ed ammiccante, regalandoci comunque aperture strumentali rarefatte e delicatamente sinfoniche. Che questo album sia ben fatto, confezionato con attenzione e professionalità e ben strutturato è innegabile. La perizia di Minasian si concretizza soprattutto nella costruzione di atmosfere fluide, di sfondi tastieristici suggestivi, di melodie azzeccate. L’apporto di altri cantanti solisti compensa un po’ la sua tecnica canora non eccelsa e può essere visto come un punto di forza. Le colorazioni strumentali sono piacevoli e le sequenze strumentali sono tantissime, molte delle quali impreziosite dalla chitarra acustica che dona una bella luce al sound di questo album. L’aspetto ritmico è forse quello più debole per la sua monotonia e semplicità, spezzata a volte da momenti più vivaci, ma che contribuisce a rendere questo disco un’opera ampiamente cantabile e radiofonica. Quanti hanno amato “Randon Acts of Beauty” possono ritenersi soddisfatti perché il nuovo lavoro è sicuramente alla sua altezza e si spinge forse anche un po’ più in alto. Chi ha una passione sfrenata per il prog melodico e romantico può avvicinarsi senza timore.
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Jessica Attene
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