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HOMUNCULUS RES |
Andiamo in giro di notte e ci consumiamo nel fuoco |
AMS Records |
2020 |
ITA |
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Di questo passo, gli Homunculus Res diventeranno artefici di album i cui titoli potrebbero fare tranquillamente a gara con quelli dei film di Lina Wertmüller! Anche per questo quarto lavoro, infatti, non ci si risparmia affatto sulla lunghezza del testo da mettere in copertina, ricreando immagini che sembra di cogliere ma che in quel preciso istante fuggono dal loro significato. Fa tutto parte della visione beffarda e spesso fustigatrice di questi palermitani canterburyani, che già a partire dall’impostazione vocale di Dario D’Alessandro ti prendono sonoramente per i fondelli, dandoti magari l’impressione – nel migliore dei casi – di star dicendo qualcosa di così impegnativo da non esser sicuri di aver afferrato del tutto. Come già detto in occasione del secondo lavoro datato 2015, in loro vi è la sfrontata durezza dello humor del capoluogo siciliano, che a volte diventa esplicitamente “nero”. Ma è anche un modo per affrontare più livelli di un medesimo discorso, trattando magari tematiche sociali piuttosto ingombranti come ad esempio il consumismo o il deperimento culturale di massa. E con questa scusa, ogni tanto, permettersi il lusso di dire qualsiasi cosa passi per la testa, non importa se effettivamente di senso compiuto. Per ammissione degli stessi interessati, lo stile è divenuto maggiormente essenziale; sempre meno propensi a pezzi dilatati, oggi le composizioni risultano molto concentrate, sicuramente più indirizzate al pop, ma ovviamente con strutture anticonvenzionali… e magari disfattiste. “Lucciole per lanterne”, ad esempio, è un titolo che si presta a più di una interpretazione e se la traccia in sé potrebbe sembrare quasi uno scherzo, gli spezzoni totalmente strumentali si dimostrano d’alto livello, rinverdendo la tradizione di Canterbury grazie anche al sax contralto dell’ospite Giorgio Trombino. Quest’ultimo torna ad intrecciare le sue note nel seguente “Il Carrozzone”, che su complessi controtempi parla di soldi, barche a vela, SUV come carrarmati… e cessi d’oro! Un mondo consumistico che fa tutti felici, per giunta con la presunzione di professarsi quelli di sempre, mai cambiati dalle ambizioni di acquisto. Il virtuosismo è da individuare nella struttura complessiva, più che in solismi veri e propri; un concetto ben espresso in “Buco nero”, che nell’ampia parte strumentale vede il chitarrista Mauro Turdo inserito sempre e comunque all’interno dell’economia ritmica collettiva, assieme all’ottimo lavoro del bassista Daniele Crisci e soprattutto del batterista Daniele Di Giovanni; a ciò bisogna aggiungere gli accompagnamenti sempre alla chitarra dello stesso D’Alessandro, i vari strumenti di Petter Herbertsson e poi le tastiere di Davide Di Giovanni. Se in precedenza i nostri parlavano di luoghi “stimolanti” come quelli di un… ospedale civico, stavolta l’ambiente da cui prendere ispirazione è quello di “Supermercato” (all’ascoltatore la libera interpretazione dei testi), puntando ad un certo punto quasi alla musica da camera, grazie a Giuseppe Turdo (oboe, corno francese) e Antonio Tralongo (viola). Divertente nel suo andamento saltellante “La Spia” (piccolo spoiler: si tratta della spia della macchina!), che nella prima parte ricorda quello della celebre “Giro di valzer per domani” degli Arti & Mestieri, qui resa più interessante dalla voce di Dominique D’Avanzo che suona anche flauto traverso e clarinetto (sempre inseriti nelle ritmiche, mai preponderanti), poi doppiata dietro il microfono da Emanuele “Sterbus” Sterbini. Assolutamente psichedelica “La Salamandra”, in cui le tastiere nelle varie modalità risultano le più appariscenti. “In girum” si apre quasi in stile Calibro 35 e si avvale del basso di Danilo Mancino. È praticamente strumentale, corredata dal titolo dell’album ripetuto in latino, per oltre tre minuti che diventano sempre più caotici e che si interrompono di colpo, prima che comincino le note circensi de “La Luccicante”, che viene espressa al meglio nella seconda metà, aperta dagli strumenti a fiato di Dario Lo Cicero, lasciando campo libero poi alla chitarra che scorrazza su un sentiero ritmico impervio. Il finale è un tributo sghembo a “Hey Jude” dei Beatles! “Tetraktys”, come da titolo, tratta di argomenti pitagorici (ovviamente in chiave sarcastica) e poi si lascia andare a ispirazioni in chiave Caravan, col piano elettrico dell’ennesimo ospite Patrick Dufour. “Non dire no” parla esplicitamente di uno che non capisce niente di niente anche volendo e che dice di no per principio, causa mancanza assoluta di comprendonio. La chiusura è bella, con la chitarra ed il suono del flauto in evidenza, ricordando molto vagamente alcuni spunti della prima parte strumentale di “Plafone” ad opera di Elio e le Storie tese. In conclusione, chi ha seguito fin dall’inizio i quattro siciliani – che, come abbondantemente detto, qui si avvalgono della presenza di tanti ospiti – noterà la loro evoluzione e tutto sommato continuerà a trovarli simpatici. Chi non li ha mai sentiti prima, invece, potrebbe anche avere un effetto spiazzante. Probabilmente, anche questo è stato beffardamente calcolato. I ragazzi sono però in gamba e questo rimane un dato di fatto oggettivo.
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Michele Merenda
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