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TIMELIGHT Selah! autoprod. 2020 USA

La copertina del cd, piuttosto anonima, non invita certo a dare molto credito al secondo lavoro del duo “Timelight” dal titolo “Selah”. Ma amando il prog statunitense, ho dato fiducia a Chris Rudolf (chitarre, tastiere, basso e voce) e a Ron Murvihill (tastiere, flauto, voce e programmazione batteria), aiutati in tre pezzi dal bassista Ian Siegel. Così la traccia iniziale, nonché title track, mi ha convinto ad approfondire l’ascolto dell’album che si è rivelato una piacevole sorpresa. Anche l’uso della batteria programmata poteva dare adito a qualche ulteriore dubbio, ma nel complesso il suo utilizzo si rivela soddisfacente e piuttosto vario.
Sei sono i brani che compongono il lavoro, cinque dei quali oltre i dieci minuti di durata, mentre uno sfiora i cinque. È proprio il brano che dà il titolo all’album ad inaugurare l’opera: un florilegio di prog d’annata che attraversa l’universo Gentle Giant, per le sezioni vocali e le intricate costruzioni ritmiche, per ricordare poi anche gli Yes dei primi album (l’uso dello Hammond e le aperture sinfoniche) ed entrare in orbita “romantica” nel delicato finale. Insomma, un inizio davvero convincente.
“Taken” stenta a decollare ma, quando prende quota le sezioni strumentali con chitarre e tastiere sono senz’altro di buona fattura. “Saphira” si muove ancora tra Yes e Gentle Giant, con cori, buone melodie, intermezzi del flauto e ritmiche scorrevoli. Spettacolare il crescendo e pirotecnico finale. La capacità di alternare sapientemente ricche partiture strumentali ed incastri vocali di prim’ordine è uno dei punti di forza del duo statunitense e contribuisce a rendere gradevole ogni momento della loro proposta. Con “The goddess liberty” scopriamo l’anima acustica dei Timelight con chitarre arpeggiate e flauto ad accompagnare la voce. Poi il brano si increspa con Hammond pesante, ritmiche e tastiere variegate. Più breve, circa cinque minuti, “Wings of fire”, con sempre i cori in evidenza e un bel solo di synth bissato da quello dell’elettrica. Nel complesso un brano che scivola via, fresco, ma nulla più. “Past departure” ha un avvio frizzante con tastiere e chitarre che si intersecano impetuose, un bel lavoro di basso e le abituali e vincenti melodie vocali. Fanno capolino anche il flauto, le chitarre acustiche ed il piano ad aumentare la tensione emotiva del brano che si sposta verso lidi cari ai primissimi Genesis. I synth riportano frenesia al pezzo come pure il notevole e lungo guitar-solo appena successivo. Convince anche il finale, appannaggio delle voci di Rudolf e Murvihill.
Il secondo lavoro dei Timelight, insomma, ci lascia ampiamente soddisfatti, le qualità del duo sono innegabili e le sei composizioni si ascoltano con grande piacere. La capacità di fare proprio il sound “storico” dei ’70 ed attualizzarlo e pure rinvigorirlo con spunti personali sono motivi più che sufficienti per promuoverli abbondantemente.



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Valentino Butti

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