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ZIRP |
Circle divine |
autoprod. |
2020 |
GER |
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Non so se il nome Zirp abbia qualcosa a che fare con il suono cigolante della ghironda, la cosa certa è che la ghironda è il vero e proprio cardine sonoro di questo quartetto di Dresda. Stephan Groth è un vero fanatico di questo strumento che suonava a tempo pieno nei Faun, “pagan folk” band di stampo medievale, e proprio dall’esigenza di porre la sua ghironda al centro di uno stile musicale più aperto e moderno nascono questi ZiRP. “Fusion Folk” è il termine che il gruppo stesso scelse per etichettare la musica contenuta nell’album di debutto uscito nel 2012 ed intitolato “Drehvolution”. Le influenze tradizionali vennero quindi convogliate in un sound attuale ed arioso che è stato apprezzato anche nell’ambito di numerosi festival internazionali, come quello il Castlefest in Olanda, il FaerieWorlds in USA o il TFF Rudolstadt in Germania, dove gli ZiRP si sono esibiti. Con questo nuovo album la band, completata da Olaf Peters (chitarra acustica e cittern), Florian M. Fügemann (batteria, percussioni, pianoforte, sample pad) e Florian Kolditz (basso e contrabbasso), ha tentato di espandere il proprio sound in più direzioni ottenendo uno stile fresco e piacevolmente contaminato che va oltre i classici canoni del folk e della musica antica, sfondando nei territori del jazz-fusion e del post rock. Lo stesso Groth (che suona anche il low whistle ed il pianoforte) cerca di manipolare al meglio il suono della sua ghironda che interpreta talvolta in modo avventuroso con effetti, distorsioni ed un approccio virtuosistico. Ascoltandolo in azione in un brano come “Odd Bourée” ci rendiamo conto che le parti della ronzante ghironda potrebbero essere benissimo quelle che normalmente verrebbero affidate ad una chitarra elettrica. Gli undici brani che compongono quest’opera sono variegati ma in ogni caso incredibilmente scorrevoli e luminosi. Troviamo pattern ritmici complessi e danzanti al tempo stesso, come nella opener “5-4-0”, che è appunto in 5/4, o come nella centrale e frastagliata “Seven Flow” che, come il titolo stesso suggerisce, è in “7/8”, ma ci sono anche pezzi dalla metrica estremamente regolare come la rilassata “Moon Mazurka” o come la gentile “Low Lights”, delicatamente disegnata da un flauto dai riflessi celtici. Alcuni brani sono incredibilmente paesaggistici e distesi, come “Circle Divine”, uno di quelli che personalmente preferisco e che mi ricorda molto l’approccio dei danesi Serras, anche loro maestri nel creare sofisticate contaminazioni a base di folk. Citerei infine “Mosaic” per le sue deliziose polifonie e le eleganti inflessioni post rock ma potrei scegliere benissimo anche la notturna “Uhrovec”, dove la ghironda ritrova forme di espressione più ortodosse dal momento che, anche i brani più lineari si fanno apprezzare nella loro semplicità. Se avete und ebole per il folk nel senso più ampio del termine questo album in cui cadenze e suoni della tradizione assumono una veste eterea e moderna potrebbe fare al caso vostro.
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Jessica Attene
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