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CIRCULINE CircuLive: NewView (CD + DVD + Blu-Ray) Inner Nova Music 2020 USA

L’origine dei Circuline, band basata nello stato di New York, è da ricercarsi nella tribute band Downing Grey, nota nei locali dell’area per le sue performance lunghe ben tre ore e comprendenti cover di Yes, Genesis, ELP, King Crimson, UK, Gentle Giant, Jethro Tull, Pink Floyd, Rush e Led Zeppelin. Quando i membri fondatori sentirono il desiderio di scrivere e presentare materiale originale, incorporarono due vocalist e cambiarono il nome del gruppo, pubblicando due album (“Return” nel 2015 e “Counterpoint” l’anno successivo), potendo contare sul contributo di ospiti più o meno illustri come Randy McStine (Lo-Fi resistance), Alan Shikoh (Glass Hammer), Matt Dorsey (Sound of Contact), Doug Ott (Enchant), Stanley Whitaker (Happy the Man), Ryche Chlandra (Fireballet, Renaissance, Nektar) e ricevendo ottimi riscontri di critica.
È così con aspettative piuttosto alte che mi accosto a questo lavoro live, presentato in CD, DVD (con codice regionale USA, quindi utilizzabile solo su lettori compatibili…) e BluRay (region-free) che immortala il loro contributo al ProgStock Festival del 2017 tenutosi nel New Jersey.
Dopo una breve intro cacofonica, ecco che “Soleil noir” si rivela un breve ma promettente brano strumentale di rock sinfonico, con le tastiere protagoniste. La scenografia è quanto di più scarno possa immaginarsi e ciò è comprensibile, trattandosi di un festival; oltre a ciò, la band è composta di elementi non più giovanissimi, per cui la presentazione risulta oltremodo statica, ma siamo abituati anche a questo ed è la musica ciò che conta in questi casi. Ecco, appunto, la musica… diciamo subito che l’anima progressiva della band pare risiedere soprattutto nel tastierista Andrew Colyer e nel batterista Darin Brannon, mentre la chitarra abrasiva di Alek Darson (che qui sostituisce i chitarristi presenti nei due dischi in studio) spesso e volentieri mal si concilia col resto. Molto spazio e rilevanza è concessa alle due voci, ma in entrambi i casi, pur trattandosi di vocalist competenti, i loro impasti paiono stridere con il lavoro strumentale, e il difetto è aggravato dal fatto che le melodie vocali risultano spesso anonime.
“One wish” è affidata alla voce graffiante di Natalie Brown, che sgomita con una chitarra elettrica heavy fuori contesto; il risultato è né carne né pesce, il buon lavoro d’organo può suggerire qualche similitudine con i Glass Hammer (nel bene e nel male) ma l’appeal non è agli stessi livelli. Il basso di Joel Simches ribolle come magma in stile Chris Squire su “Nautilus”, basata su armonie vocali, piano, e ancora “schitarrate” pseudo-metal; stavolta è la voce maschile di Billy Spillane (anche cantante in una tribute band dei Led Zeppelin) a salire alla ribalta, con il sintetizzatore che appare sempre un po’ avulso dal resto e fatica a farsi notare nell’impasto. “Hollow” esordisce come ennesima ballad un po’ scialba interpretata a due voci ma presto si trasforma in un duello tra piano/organo e chitarra, che si sfidano senza mai amalgamarsi; il brano è lungo (dieci minuti) e contiene diversi “falsi finali” ma presenta gli stessi difetti riscontrati negli altri episodi: quelli che dovrebbero essere i punti di forza (il cantato con voce maschile e femminile, l’alternanza degli assoli, la sezione ritmica “pesante”) evidenziano invece le lacune della proposta, che sulla lunga durata tradisce una certa monotonia di fondo. Il formato mini-suite è tentato anche in “Summit”: ancora un’intro di pianoforte con cadenza da musical box per un brano cantato a tre voci, con Andrew Colyer che si aggiunge al microfono; si tratta di un pezzo un po’ in stile Happy the Man, vagamente jazzato; qualche buona linea di synth evoca il lavoro di Tony Banks ma sono altri dieci minuti un po’ schizofrenici, troppo frammentari, anche se le singole sezioni non sono affatto disprezzabili. “Forbidden planet”, malgrado il titolo faccia presupporre inflessioni space rock, si rivela essenzialmente un’altra ballata rock tradizionale e non basta un buon assolo di chitarra elettrica a salvarla; stesso discorso per “Stereotypes”, introdotta da un riff ossessivo ma che rischia di scadere a più riprese nel più banale brano radiofonico soft-rock pur agghindato con un arrangiamento prog.
“Pale blue dot” è la cover di un brano essenzialmente pop-rock già poco entusiasmante nella versione originale dei Sound of Contact, con cui i Circuline hanno dei legami (come detto, alcuni membri della band di Kerzner e Simon Collins sono presenti come ospiti nei dischi di studio) e sinceramente non comprendo il motivo della sua inclusione in scaletta. Va un po’ meglio con “Inception”: l’intro pianistica tintinnante e misteriosa, quasi floydiana, lascia spazio a linee vocali poco coinvolgenti che appesantiscono un brano potenzialmente intrigante ma che pare non decollare mai; quando infine si raggiunge il climax, apprezziamo una chitarra furiosa su archi di Mellotron campionati – resta comunque uno degli episodi più piacevoli del concerto.
I brani sono inframezzati da parentesi solistiche, come nella migliore (o peggiore?) tradizione prog-rock: “Piano challenge” è un botta e risposta al piano tra il tastierista di ruolo e il batterista, che include accenni a “Trilogy”, “Tarkus”, “Awaken” e brani classici, accompagnati dal bassista Simches che per l’occasione si cimenta alla batteria; “Fallout shelter” è la vetrina solistica per la chitarra di Darson, tra frangenti atmosferici e virtuosismi alla Trevor Rabin, per fortuna piuttosto breve; divertente invece la concisa parentesi in cui l’intera band si cimenta con strumenti a percussione mentre “Return” è l’episodio “unplugged” in cui sono rispolverate le chitarre acustiche.
Resta un po’ di amaro in bocca quando non si riesce ad entrare in sintonia con la proposta di una band, soprattutto quando è tangibile la sua determinazione nell’emergere tramite sforzi promozionali e una frenetica attività live; purtroppo questa costante oscillazione tra un rock mainstream tipicamente statunitense e sinfonismi un po’ forzati non riesce a tenere alto il mio personale livello di gradimento, risultando spesso stucchevole al mio orecchio.



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Mauro Ranchicchio

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