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STRATUS LUNA Stratus luna MusicMagik/MoonJune Records 2019 BRA

Un debutto all’insegna di jazz-rock/fusion, un pizzico di prog e anche un po’ di quello stile metal-fusion strumentale che nei decenni passati ha messo in luce ottimi chitarristi, tipo il primissimo Ritche Kotzen o David T. Chastain (entrambi, guarda la casualità, poi passati anche per territori maggiormente “jazzati”). Ci si troverebbe al cospetto dell’ennesimo gruppo dotato di grande tecnica, di cui il mondo discografico è pieno, se non fosse che al momento di pubblicare questo esordio, il quartetto carioca si ritrova formato da musicisti con un'età compresa tra i 21… e i 17 anni. Il lavoro, pubblicato in patria dalla MusicMagik e poi distribuito negli altri Paesi dall’etichetta di Leonardo Pavkovic, vede quindi all’opera dei giovanissimi che secondo alcune fonti suonano assieme addirittura dal 2007 (se così fosse, erano davvero in fasce!). Ai fratelli Santhiago, Gustavo (tastiere, sitar, flauto) e Ricardo (chitarre, lap steel, nonché autore dell’art work), si affiancano il cugino Giovanni Lenti che suona sia batteria che percussioni e l’amico Gabriel Golfetti al basso. Proprio quest’ultimo appare l’elemento di maggior esperienza, figlio di quel Fabio Golfetti oggi chitarrista dei Gong (ha anche curato il lavoro di masterizzazione del lavoro preso in esame), autore peraltro di album solisti dagli stili differenti come “Lux aeterna”, un lavoro elettronico suonato in duo esattamente col figlio di cui sopra. La musica, se si vuol fare riferimento al prog, potrebbe avere degli accostamenti ai Camel e ai Focus, permeata sempre di eleganza e di un certo contegno anche nei momenti più aggressivi. E se si volessero trovare altri riferimenti, questi li si rintraccia facilmente anche nei lavori solisti del già citato Fabio Golfetti con i suoi Violeta De Outono e in certe scelte stilistiche di Mike Oldfield.
L’introduzione di “Nimue” ha delle reminiscenze del già citato progetto “Lux aeterna”, resa misteriosa dall’organo altero e tenebroso, su note ripetute da ambientazione cibernetica. Dopo questo inizio, in cui sembra di essere dentro un videogioco il cui nuovo game sta per iniziare, la musica comincia a scorrere grazie alla chitarra nitida e fluida di Ricardo, mentre Guastavo continua a ricreare suoni densi e tecnologici con la sua tastiera. Il pezzo ha poi delle variazioni, che si sarebbero dovute comunque sviluppare meglio. Come da nome, “O Centro do Labirinto” suona subito molto più frenetica, grazie al wah-wah della chitarra che cavalca con composta insistenza sulla via tracciata dall’organo. Dopo, la band si erge solenne e lascia che la chitarra guardi dall’alto con atteggiamento epico. L’intermezzo è un po’ estraniante rispetto al resto, per poi tornare a proporre quelle fasi musicali che avevano reso la composizione così affascinante. I nove minuti e mezzo di “Zarabatana” tornano a coniugare i suoni “tecnologici” con note che scivolano naturali nonostante la loro complessità. Qui è Gustavo a fare inizialmente la parte del leone, passando dai suoni del pianoforte a quelli dell’organo. Si lascia poi il testimone a Ricardo, che risulta sempre un piacere ascoltare. L’intermezzo atmosferico è caratterizzato dal sitar perso tra i suoni di una natura ancestrale e fascinosa, che riecheggiano nella ritmica caratterizzata dalle percussioni di Giovanni Lenti. È uno scorrere davvero piacevole, capace di ricordare lo stile più etnico di Dewa Budjana, peraltro loro compagno di scuderia. Poi si riprende con una jazz-fusion più tradizionale, tra controtempi di batteria e basso, in cui i due Santhiago (soprattutto Ricardo) immettono tutto il proprio talento solista. Potrebbero ricordare la Steve Morse Band, senza però l’ostentazione velocista del relativo e omonimo leader. “Panda Voadoras” è una specie di jazz-blues sincopato che potrebbe anche essere ballato (oltre che ascoltato) con estremo piacere. Qui è il basso, in tipico stile jazz, a scandire i tempi su cui saltellano allegramente i tasti d’avorio, ricreando un’atmosfera capace di attualizzare i vecchi locali che proponevano un determinato tipo di musica. Ma a un certo punto ci si si rende conto che i ritmi sono diventati sempre più frenetici e sono già entrate in campo le sei corde, spalleggiate dal calore “organistico”. “Nrem-1” è il breve ponte che permette il passaggio ai sette minuti e mezzo di “Onirica”, in cui interviene anche il flauto. Le note suonate sulle corde, poi, fungono da elevatore verso piani più alti, dove i sintetizzatori ricreano la visione di luoghi solenni, poi lasciando la scena alla solita chitarra che alterna riff più duri ad altre fasi soliste in cui viene portato avanti un limpido discorso musicale da seguire piacevolmente. Ad effetto (anche se un po’ scontata) la parte finale.
Si chiude con gli ulteriori sette minuti e trenta di “Efêmera”. Parte inziale da “raffinatezza notturna”, che poi si lascia prevedibilmente andare alle evoluzioni dei due Santhiago. Dopo una brusca interruzione, la chitarra elettrica suona quelli che forse sono gli assoli più lirici di tutto il lavoro e ancora una volta c’è da rimarcare che la musica risulta così viva grazie all’alternarsi delle tastiere tra organo e pianoforte, senza mai dimenticare una sezione ritmica precisa e tecnica che non suona mai invasiva, come se tutto fosse un quadro d’insieme assolutamente disciplinato.
Un gran bel primo lavoro, che tende a non strafare e vede i protagonisti rispettare le consegne. Molto disciplinati e capaci, i quattro ragazzi brasiliani devono assolutamente continuare a creare la loro bella musica, riuscendo ad andare anche oltre e a tirar fuori quel colpo di genio che spesso scaturisce dalla capacità di scavalcare le regole. Comunque, ampiamente promossi!



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Michele Merenda

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