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NEEDLEPOINT |
Walking up that valley |
BJK Music |
2021 |
NOR |
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La formazione rimane immutata rispetto alle ultime due prove discografiche ed anche l’aspetto musicale permane ben fermo all’interno del perimetro Canterburyano. Cambiano alcuni aspetti minori, quali la durata dell’album, di nuovo finalmente al di sopra dei 40 minuti, l’artwork, che prende qualche sfumatura di colore in più rispetto alle precedenti tinte sbiadite, e la presenza di un coro e di un percussionista (nella persona del talentuoso svedese Erik Nylander) che vanno ad affiancarsi all’usuale quartetto. Quest’ultimo è composto, val la pena ricordarlo, da Bjørn Klakegg (voce, chitarra, violino, flauto e violoncello), David Wallumrød (organo, piano elettrico, synth), Nikolai Hængsle (basso e chitarra) e Olaf Olsen (batteria). Come già detto, al punto di vista musicale non cambia molto con questo nuovo album: Caravan (soprattutto), Hatfield & The North e Beatles rimangono quindi i numi tutelari sotto il cui segno si muovono queste 8 canzoni. L’accattivante voce sinclairiana di Klakegg ci prende subito per mano, assieme ad un convincente e coinvolgente drumming, fin dall’avvio di “Rules of a Mad Man”, brano intrigante e dall’impatto accattivante. Ma è con la successiva “I Offered You the Moon” che abbiamo un brano paradigmatico di quanto la band vuole offrire al suo ascoltatore: dopo un avvio in continuità con la traccia precedente, una pausa sonora che ci fa quasi presupporre l’inizio di un brano nuovo prelude ad una seconda parte in cui l’eco degli Elephant9, l’altra band di Klakegg, si amalgama in una miscela che progressivamente arriva quasi all’ebollizione, in un crescendo psichedelico coinvolgente ed esaltante. Si ritorna su tonalità delicate ma non meno coinvolgenti con “Web of Worry” e “So Far Away”, due brani delicatamente contaminati dal folk, con morbidi intrecci strumentali e toni pastorali. La susseguente “Where the Ocean Meets the Sky” inizia su tonalità delicate per poi virare su caratteristiche free jazz, sempre con l’ottima batteria che intreccia belle parti di chitarra. “Carry Me Away” ha invece un forte sapore beatlesiano, sponda McCartney (pur con qualche stralunata pulsione alla Ringo Starr), mentre “Another Day” vira su sonorità delicatamente blues. Siamo arrivati quasi al termine di quest’album ed è il momento della title track, un brano dalla anomala durata di quasi 11 minuti, decisamente un’anomalia per questa band. Nulla di nuovo comunque in questa lunga traccia… praticamente solo (si fa per dire) una summa di tutte le altre, dal punto di vista stilistico ovviamente, iniziando in modo molto delicato ed intimistico, con la voce quasi da sola che piano piano viene affiancata da sottofondi strumentali via via più ricchi elaborati, ancorché discreti, con un’atmosfera molto alla Gentle Giant. All’alba del 5° minuto Olsen comincia a farsi sentire con il suo solito drumming preciso ed efficace, contribuendo al progressivo innalzamento del climax del brano, il quale comunque precede senza particolari scossoni e forse viene sfumato un po’ troppo brutalmente. Un album decisamente notevole, come ce lo aspettavamo. Forse il risultato generale è appena inferiore all’ottimo predecessore, se vogliamo essere onesti, ma possiamo comunque affermare che la band non ha sbagliato il colpo neanche questa volta.
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Alberto Nucci
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