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SMOKEMASTER Smokemaster Tonzonen Records 2020 GER

In un ipotetico limbo di artisti che fanno musica prog-ma-non-troppo, gli Smokemaster sguazzerebbero felici e contenti, con le loro chitarre acide, il bollente brodo anni ’70, il trip negli spazi cosmici sonori e una generale atmosfera stoner che fa venire voglia di chiudere gli occhi e ondeggiare la testa al ritmo della musica. Eppure il disco inizia in maniera quasi rassicurante, con il basso e la batteria che pulsano mestamente sulla chitarra appena spruzzata di overdrive sino a quando, dopo tre minuti e mezzo di reminiscenze floydiane post-Barret e pre-“Dark side of the Moon”, “Solar flares” si lancia in un ruggito psichedelico strumentale sostenuto dai suoni analogici dei sintetizzatori e da un lungo assolo di chitarra distorta accompagnato da alcune disperate melodie vocali. E se “Trippin’ blues” sembra correggere il tiro verso un roccioso hard rock pesantemente venato, appunto, di blues, i dieci minuti di “Ear of the universe” sono un tuffo dentro un calderone che unisce Hawkwind, Motorhead, Deep Purple, Black Sabbath e Pink Floyd. “Sunrise in the canyon” sembra raccontare di albe fiammeggianti in magnifici paesaggi naturali, mentre “Astronaut of love” e “Astral traveller” chiudono il disco sotto forma di viaggi interstellari sostenuti dal basso distorto, dall’organo Hammond e da implacabili riff di chitarra, a costruire un muro di suono compatto e inarrestabile.
Un esordio convincente quello degli Smokemaster, che dalla Germania propongono un ibrido di generi avente come centro focale gli anni ’70. Si avverte la flebile presenza di alcuni cliché e di qualche manierismo, per fortuna affogati in una buona capacità compositiva. Ho qualche dubbio che lo stile della band possa essere riproposto tale e quale con successo in un album successivo senza risultare scontato, ma per il momento ci possiamo accontentare e goderci l’ascolto.



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Nicola Sulas

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