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MICK PAUL Parallel lives autoprod. 2021 UK

Il britannico Mick Paul – che prima di imbracciare il basso aveva cominciato con la chitarra classica - presenta come turnista un curriculum di tutto rispetto, che parte da molto lontano. Tra le band più prestigiose c’è sicuramente quella di David Cross, storico violinista dei King Crimson. Con quest’ultimo in formazione, Robert Fripp infiammò le platee grazie ad una triade di album che sancì il grande ritorno di un gruppo totalmente rinnovato. Un’attitudine che spesso è emersa negli album solisti di David Cross e che sicuramente è stata respirata anche da Mick Paul. Però, oltre all’ispirazione più dura e spigolosa, il bassista in questione deve aver colto anche la parte più soffusa, meditativa, tanto è vero che per questo debutto si è da più parti fatto il paragone con “A scarcity of miracles” a nome Jakszyk, Fripp, Collins, uno dei tanti progetti paralleli al Re Cremisi per esprimere differenti ispirazioni musicali dei vari componenti. Mick Paul esordisce con un lavoro non certo aggressivo, coadiuvato da molti componenti proprio della David Cross Band, tra cui il cantante Jinian Wilde che presenta una voce affine a quella di Jakko Jakszyk. C’è anche lo stesso David, indicato erroneamente sul quarto brano. In realtà, da ciò che è dato sentire, l’inconfondibile violino elettrico è presente su quello immediatamente precedente, cioè su “No Horizon”, tra i risultati migliori dell’intero album. Le parti cantate, invero, non hanno molto mordente, ma quelle strumentali sono molto più psichedeliche, grazie sia allo strumento ad archetto che al basso profondo, concludendo con una specie di meditazione violinistica simile a certe vecchie trovate degli High Tide più quieti. Un altro ospite di lusso è David Jackson, ormai ex fiatista dei Van der Graaf Generator, che con flauti e fischietti impreziosisce i tre minuti abbondanti della strumentale “Swallows”. L’approccio psichedelico è ancora maggiore (il violino qui è sintetizzato?), facendo poi sfumare una base su cui il musicista sopra citato ha costruito la propria partitura. Da notare che Jackson, come anche Cross, è stato tra coloro che hanno inviato tre interpretazioni della stessa traccia, lasciando così libertà di scelta nella costruzione.
Altro ospite è Craig Blundell, batterista di Steven Wilson, che si mette a disposizione in due brani. “Light of Silence” è quello che presenta il drumming più complesso, ben seguito dal basso turbinante di Mick. Le parti soliste – qui come altrove – sono quasi sempre lasciate alla tastierista Sheila Maloney, in origine anche lei con David Cross. Molto “immaginifico” il suo pianoforte sulla title-track, cantata dallo stesso Mick Paul e ancora con Blundell come ospite, in questo caso più contenuto. Di sicuro, le sezioni lasciate ai commenti sonori si presentano meglio, anche quelle parti di chitarra suonate sempre da Mick, che forse avrebbero avuto bisogno di un chitarrista titolare. Si registra infatti una differenza sostanziale quando subentra Paul Clark su “Name on You” e la conclusiva “Morning Skyline”. Un’energia maggiore, contenuta ma allo stesso tempo palpabile, più vicina ai veri e propri progetti crimsoniani, di cui gli stessi Paul e Maloney finiscono per beneficiare. L’ultimo pezzo (strumentale), poi, è anche il più brioso, e oltre agli intarsi classicamente Frippiani esprime anche alcune espressioni soliste sulle sei corde. Tra i due pezzi citati, da sentire lo scorrere di “Consigned to Reality”, segnalando anche “Uncharted Course”, composizione decisamente onirica che di tanto in tanto si desta grazie agli assoli di Sheila e gli sporadici interventi del chitarrista Geoff Winkworth. Belli anche gli inserimenti del pianoforte su “One Way Conversation” (qui si sentono dei riff più compatti di chitarra, che sia invece qua Winkworth?), oltre al lavoro molto complesso del batterista Steve Roberts.
I pezzi in totale sono quattordici, decisamente troppi in un album in cui si ha la sensazione di sentire sempre la stessa canzone rielaborata via via con qualche trovata differente. Tutti bravi musicisti, nessuno lo nega, ma l’andamento è molto uniforme e spesso sotto tono, non mantenendo alta l’attenzione dell’ascoltatore. Atmosfera classicamente progressiva, nel senso più accademico del termine. Ci sono comunque spunti apprezzabili.



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Michele Merenda

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