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HEARTACHE |
Apate (EP) / Dolos (EP) |
autoprod. |
2021 |
ITA |
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Nata nel 2008, la band romana si dimostra subito dedita a quello che può essere definito prog-metal, pubblicando il primo EP, “Apophis”, circa quattro anni dopo. Nel 2016 è la volta di “Skyscrapers and firefalls”, esordio su full-length, per arrivare quindi a questi due nuovi EP, distinti e separati ma allo stesso tempo connessi tra loro. Il quintetto capitolino non solo conferma il proprio interesse verso la cultura e i miti delle civiltà antiche, ma anche una propensione verso il quattro, visto che ad esso corrisponde il numero dei brani di ciascun dischetto, che come detto poco sopra l’esordio discografico avviene dopo quattro anni e il ritorno sul mercato ha luogo esattamente dopo lo stesso periodo (e chissà se questi due nuovi EP fossero già pronti nel 2020 o comunque al termine di sempre quattro anni di lavoro…). Due uscite concettualmente collegate tra loro, si diceva: Apate, infatti, era la divinità dell’inganno, tra le entità contenute nel vaso di Pandora che vennero involontariamente liberate e che quindi infestarono il mondo per il resto dei suoi giorni; essa era la controparte femminile proprio di Dolos, spirito di trucchi, inganni ed artifici, apprendista di Prometeo e compagno delle Bugie. Ed è esattamente questa la raccolta di pezzi maggiormente riuscita, con una propensione progressiva senza dubbio maggiore. I nostri tentano di enfatizzare l’aspetto inerente le atmosfere, come accade nella seconda parte dell’iniziale “Numbers”, con risultati apprezzabili. Va inteso proprio in questa ottica il giro di basso che introduce “Mystic Den”, resa arcana e solenne anche grazie a degli inserimenti organistici tra i riff, oltre alle improvvise virate verso un’ambientazione “rarefatta”. “Led Astray” è molto più elaborata, mentre “Faces” vuole essere più tranquilla e al contempo maggiormente profonda, sebbene vi siano poi delle brevi impennate. “Apate” è invece decisamente più introverso, come dimostrato già in avvio con “Liquid Skin”, che per lunghi tratti sembra arrovellarsi su se stessa, prima di lasciarsi andare ad una specie di hair-metal comunque più serioso rispetto ai modelli originali. Buono davvero l’intervento di basso, ad un certo punto. “The Sinner” ha una intro in stile commerciale, procedendo sotto forma di ballad prog-metal, ricordando a tratti lo stile vocale di Rob Halford (Judas Priest) nei momenti più lenti e sentiti. “Talk To My Soul” è variegata, come se fosse formata da più brani poi messi assieme, ora più dura e ora maggiormente aperta verso la melodia, per poi chiudersi su se stessa. Anche qui, molto buono il lavoro del basso. “Erasing Time”, come fatto sull’altro CD, è più tranquilla ed orecchiabile. Luca Aldisio (voce), Matteo Palladini (chitarra, voce), Alessandro Ippoliti (tastiere), Emiliano Venanzini (basso) ed Alessandro Giordano (batteria) sono i ragazzi che compongono la band laziale, che piaceranno alle nuove leve grazie anche al proprio entusiasmo e anche alla ricerca di tematiche interessanti. Per chi però ascolta queste sonorità da tempo, si avvisa che non vi sono ulteriori dettagli da (ri)scoprire.
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Michele Merenda
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